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Billo, da clandestino a stella del cinema

Thierno Thiam si racconta a Stranieri in Italia: "A nessuno piace lasciare la terra d’origine, si fa per disperazione"

Un sorriso che cattura, una presenza che sprigiona energia e diffonde il buonumore. Thierno Thiam, il protagonista del film "Billo, il Grand Dakhhar", dal 19 settembre sui grandi schermi italiani, non è nuovo al pubblico televisivo e cinematografico. Gli osservatori più attenti se lo ricorderanno nel ruolo di Carramba boy o tra i "belli" di "Beato tra le donne", oppure a "Domenica Inn". O nelle pellicole "Amore a prima vista", "La finestra di fronte", "Barzellette", "Bianco e nero".

A renderlo un volto noto è stata la trasmissione "Libero", nell’edizione condotta da Teo Mammucari. È li che viene soprannominato "Billo", un nomignolo simpatico che li ha portato fortuna. Ma la sua storia in Italia inizia molto prima di quel successo televisivo. Thierno è arrivato dal Senegal come clandestino nel ’90, a soli 16 anni. Ha avuto il primo permesso di soggiorno nel ’96. Un esordio simile a quello dei suoi connazionali emigrati, una strada in salita, e tanta voglia di farcela, per integrarsi e non sentirsi diverso.

Cosa hai fatto appena arrivato in Italia e quali erano le tue aspirazioni all’epoca?
Sono giunto a Roma e qui sono sempre rimasto. Avevo un diploma di sarto e le uniche cose che cercavo erano un po’ di serenità e un lavoro qualsiasi purché onesto. Ho fatto il venditore ambulante come tanti miei connazionali. Poi ho trovato un impiego come restauratore di mobili e falegname. E dopo ho lavorato in un’azienda che produce giubbotti di salvataggio in mare.

Come è iniziata la carriera nello spettacolo?
Non appena mi sono stabilizzato un po’ dal punto di vista lavorativo, mi sono iscritto in palestra, facevo anche danza. Poi ho iniziato a fare provini e nel ’94 sono arrivate le prime comparse. La popolarità però la devo a "Libero".

A proposito, nel programma "Libero" interpretavi un ruolo che esigeva dell’autoironia. Come ti sei trovato?
Io e Teo ci conoscevamo già. Siamo amici, e io mi sono molto divertito con lui. L’ironia non mi manca.

È stato bello essere il protagonista di un film che racconta la tua vita? E girarlo per metà in Senegal?
Si, sono soddisfatto e felice di questa esperienza, che si basa sulla mia vera storia. Tuttavia ho un modo diverso di vedere il successo: sono sereno e contento, ma con i piedi per terra.

Preferisci il cinema o la televisione? Qual è l’esperienza tv alla quale sei più affezionato?
Ora preferisco fare l’attore, ma nelle trasmissione televisive sono me stesso e mi trovo bene. Sono legato maggiormente a Carramba e a Libero. Li ho imparato tanto, ho incontrato persone splendide e soprattutto mi sono divertito moltissimo.

Credi di essere stato più bravo o più fortunato ad arrivare dove sei arrivato?
Entrambe le cose in ugual modo. Nella vita serve sia fortuna che bravura.

Quale consiglio daresti ai tuoi connazionali che cercano la fortuna in Italia?
Direi loro di impegnarsi nella vita quotidiana per raggiungere i loro obiettivi onestamente, senza rubare o cercare la strada più facile.

È stato difficile andare via dal Senegal?
Lasciare la casa e i parenti è sempre difficile. I primi tempi è stata dura. Ma oggi è diverso: torno nella mia patria una volta all’anno, e poi due miei fratelli stanno qui con me.

Hai incontrato particolari problemi burocratici e di integrazione?
L’inizio di un percorso migratorio è sempre in salita. Anch’io ho ricevuto insulti, ma ho sempre cercato di reagire. Non ho avuto particolari problemi. Per integrarsi serve la volontà: mi piace fare tutto nel miglior modo, perciò ho cercato di imparare la lingua, capire la mentalità e integrarmi seguendo gli ‘schemi’ italiani.

Cosa pensi dell’attuale situazione degli immigrati in Italia? Delle scelte politiche in materia?
L’immigrazione è una questione delicata qui. C’è chi vuole integrarsi appieno e chi no, ma entrambe le ‘categorie’ vanno rispettate perché magari hanno obiettivi diversi. Per esempio, molti hanno dei progetti, al cui termine intendono tornare nel paese d’origine. Poi, ovvio, chi fa del male e delinque non deve avere spazi, va punito dalla legge. Ma le cose non vanno affrontate con cattiveria e ignoranza.

Secondo te, il recente omicidio del giovane Abdul a Milano rivela che ci sono dei problemi?
Certo, è sempre sbagliato non chiedersi perché una persona agisce in un certo modo prima di giudicarla. Gli italiani devono capire che a nessuno piace lasciare la propria terra d’origine. Chi lo fa è spinto dal bisogno e dalla disperazione. Penso a quelli che rischiano la vita attraversando il mare. Siamo tutti cittadini del mondo e non si può condannare qualcuno solo perché fugge dalla miseria. Attenzione, perché nella vita le cose possono anche ribaltarsi.

Cosa potrebbe cambiare la situazione?
I modi per cambiare l’opinione pubblica ci sono. Molto dipende dal governo, e molto dagli immigrati stessi. Mi chiedo ad esempio, cosa c’è di sbagliato nel costruire moschee per i fedeli musulmani? Non possiamo votare, pregare, sentirci a casa, ma paghiamo le tasse e a volte non aspettiamo neanche di avere la pensione pur di tornarcene in patria. Se vado a Parigi, invece, mi sento più a casa, non mi manca l’Africa lì. Posso ballare i balli della mia terra, posso mangiare i cibi della nostra tradizione, gli africani respirano un’altra aria, qui non c’è nulla di tutto ciò. E poi, ogni città fa a modo suo, è allucinante.

Oggi ti senti più italiano o senegalese?
Sono prima di tutto senegalese, ma ho ormai una mentalità perlopiù italiana.

Stai seguendo le regole del Ramadan?
Certo, sono musulmano. La tradizione, le mie radici, sono sempre dentro di me: mi fanno andare avanti.

Accanto a te preferiresti una donna italiana o africana?
A pensarci, preferisco le africane. In realtà finora ho avuto solo donne italiane, ma le trovo complicate, pesanti. Pretendono troppo e hanno un modo contorto di vedere le cose e di reagire. Invece serve più semplicità. Le africane sono più tolleranti, comprensive. Per fare un esempio: a una telefonata fatta in ritardo, l’italiana reagisce con ira, disinteressata sui motivi, l’africana è piuttosto preoccupata e innanzitutto vuole sapere se va tutto bene.

Il tuo futuro è in Italia? Cosa ti ha dato questo paese e cosa ti manca del Senegal?
Non so. Ci sono molte cose che mi piacerebbe fare in Africa. L’Italia è particolare: ti da e ti toglie. Per ora da lei ho avuto tutto, praticamente tutta la mia vita. Ma la mia patria mi ha dato la base, le fondamenta, rappresenta le mie radici e viene sempre prima. Facendo un paragone, il Senegal è la madre, l’Italia il padre per me.

Antonia Ilinova

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