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Brescia. Il giudice: “Bonus bebè anche agli immigrati”

"Escluderli è stata una discriminazione". Il Comune dovrà accettare le domande di mamme e papà stranieri

Roma  – 27 gennaio 2009 – Riservare il bonus bebè agli italiani è una discriminazione, quindi è illegale. Il Comune di Brescia dovrà concederlo anche ai genitori immigrati.

Lo ha deciso ieri il Tribunale della città lombarda, dando ragione all’Asgi e a quattro genitori stranieri che hanno promosso un’azione civile contro la discriminazione, come previsto dal testo Unico sull’immigrazione.  Oggetto del contendere, una delibera della giunta comunale che riconosce 1000 euro per ogni bambino nato o adottato nel 2008 nelle famiglie a basso reddito, ma solo se almeno un genitore è italiano e risiede a Brescia da minimo due anni.

Quando lo scorso novembre il testo fu approvato dalla giunta di centrodestra, opposizione e associazionismo denunciarono subito l’esclusione degli immigrati come una forma di discriminazione. Ma il Comune andò avanti: “A forza di preoccuparci di non discriminare gli stranieri rischiamo di dimenticare i nostri cittadini, le famiglie i giovani e gli anziani diventati più vulnerabili” dichiarava in quei giorni il sindaco forzista Adriano Paroli.

Ora però il sindaco dovrà dar retta al tribunale. II giudice ha infatti dichiarato discriminatoria l’esclusione, ha ordinato quindi al Comune di rimuoverla e di posticipare al 28 febbraio il termine per la presentazione delle domande,  in modo che mamme e papà stranieri abbiano il tempo di chiedere il bonus. 

Il giudice ha anche smontato le premesse della delibera, che si proponeva di alzare il tasso di natalità tra le famiglie bresciane doc. ”Non può considerarsi ragionevole il tentativo di indurre chicchessia a procreare sulla base di un mero soccorso economico”, si legge nell’ordinanza, tanto più se questo è di appena 1000 euro, una somma che “non è sufficiente a determinare nessun cittadino italiano (dotato di un minimo di razionalità) a procreare”.

Soddisfatto Alberto Guariso, l’avvocato che insieme al collega Alessandro Zucca ha curato l’azione civile: “Un ente locale non può fare discriminazioni quando eroga dei servizi. Questo non vuol dire – commenta – dare tutto a tutti, col rischio che, se i fondi sono pochi, a farne le spese siano proprio i più poveri. Non si possono però stabilire criteri su base razziale, etnica, nazionale o religiosa. Li vieta la legge, ma è anche una questione di civiltà”.

Scarica l’ ordinanza del Tribunale di Brescia

Elvio Pasca

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