Roma – 25 settembre 2013 – Cento milioni euro in sei anni. Tanto sono costati ai contribuenti i campi nomadi di Roma, Napoli e Milano.
Secondo il rapporto “Segregare costa”, presentato ieri alla cooperativa Berenice e dalle associazioni Compare, Lunaria e OsservAzione, sono soldi sprecati.
Conti alla mano, il rapporto decostruisce la tesi che va per al maggiore tra gli attori istituzionali che disegnano le politiche “a favore dei rom”, ma anche nell’ opinione pubblica, “per lo più disinformata e spesso strumentalizzata da chi fa della xenofobia, del razzismo e dell’antiziganismo i principali argomenti della propaganda politica”. È la tesi secondo la quale, in una generale carenza di risorse pubbliche, i campi sarebbero la soluzione abitativa meno costosa per le amministrazioni locali.
“Non è così” ribatto gli autori. Tra il 2005 e il 2011 per allestire, gestire e mantenere i campi sono stati spesi almeno 24,4 milioni di euro a Napoli, almeno 69,8 milioni (ai quali si aggiungono almeno altri 9,3 milioni di euro per i progetti di scolarizzazione) a Roma e almeno 2,7 ( stanziamenti accertati, ma il dato è parziale) a Milano. “Gli interventi sociali di formazione e inserimento lavorativo a questi collegati – denuncia il rapporto – non hanno peraltro raggiunto risultati significativi in termini di una reale autonomizzazione delle persone”.
Si tratta di soldi pubblici, notano le associazioni, che potrebbero essere molto più utilmente impiegati in modo diverso: “è necessario che le istituzioni cambino del tutto il proprio approccio: non servono soluzioni “speciali”, “temporanee” e “ghettizzanti”, ma progetti di inclusione abitativa, sociale e lavorativa finalizzati alla reale autonomizzazione dei rom.
I “piani nomadi” , si legge nelle conclusioni del Rapporto, devono e possono essere sostituiti da Piani di chiusura dei campi nomadi . “Questi ultimi non hanno naturalmente niente a che vedere con le vergognose politiche degli “sgomberi” che accompagnano le “politiche dei campi”. Pianificare la chiusura di questi ultimi significa prefigurare soluzioni abitative alternative, concordando con i residenti tempi e modalità del cambiamento .
Molte le alternative possibili, già praticate in città come Pisa, Padova o Bologna, ma sperimentalmente anche a Milano. Come il sostegno all’inserimento in abitazioni ordinarie o in case di edilizia popolare pubblica, l’ housing sociale, la promozione di interventi di auto-recupero di strutture pubbliche inutilizzate.
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