Roma – 20 dicembre 2012 – C’è la ragionevole certezza che il primo gennaio non finiranno per strada. Ma il futuro di quasi ventimila profughi dell’Emergenza nord africa rimane comunque oscuro e, a tempo quasi scaduto, manca ancora un atto ufficiale che possa fare chiarezza.
Sono mesi che chi li assiste lancia allarmi sulla fine dell’emergenza, fissata per legge al 31 dicembre 2012. Il mese scorso si sono avviate le procedure per riconoscere uno status giuridico (con il rilascio di un permesso umanitario) a uomini e donne spinti in Italia sui barconi dalla primavera araba e dalla guerra in Libia che non hanno ottenuto la protezione internazionale. Rimane però l’incognita dell’accoglienza, dal momento che a fine anno “scadranno” anche gli interventi avviati finora da enti locali e associazioni.
Si tratta, nella maggioranza dei casi, di forme di accoglienza di “bassa soglia”. Semplicemente vitto e alloggio, ad esempio in alberghi o agriturismi, senza veri percorsi di inserimento, come corsi di italiano o forme di avviamento al lavoro. Eppure questi interventi sono costati cari alle casse dello Stato: la media è di 46 euro al giorno a persona, contro i 35 euro spesi, ad esempio, per chi è inserito nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), che invece punta molto ai percorsi di integrazione.
E adesso? “Politicamente è già deciso che il primo gennaio queste persone non verranno abbandonate. Anche se l’emergenza Nordafrica finisce, le competenze passeranno dalla Protezione Civile al ministero dell’interno che manterrà in piedi le misure di accoglienza ancora per qualche mese. Sui dettagli del passaggio e sulla durata di questa specie di “proroga” non ci sono però certezze” spiega a Stranieriinitalia.it Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati.
Per ora c’è solo la bozza di un’ordinanza, al vaglio del ministero delle Finanze, che affiderebbe ai prefetti dei capoluoghi regionali il compito di rinegoziare le convenzioni con gli enti di accoglienza, con fondi sufficienti ad andare avanti per un altro paio di mesi. La fine dell’emergenza renderà però inevitabilmente più macchinose le procedure e c’è il rischio molto concreto che si crei un limbo tra la chiusura del vecchio sistema e l’avvio del nuovo.
Sul territorio potrebbero esserci anche situazioni a macchia di leopardo. Alcuni prefetti, non avendo la certezza, nero su bianco, dei finanziamenti, hanno comunicato agli enti che il 31 dicembre si chiude. E per ora Comuni, Province e Regioni hanno avuto dal governo solo la “promessa” di una soluzione in arrivo.
Intanto, tra i profughi ammassati negli alberghi senza notizie certe, circolano le voci più disparate, che fanno aumentare la tensione. Molti, ad esempio, sono convinti che se abbandonano la struttura d’accoglienza hanno diritto a ricevere una somma di denaro dall’ente gestore e quindi “battono cassa” agli operatori. Una distorsione creata dal passaparola sui fondi (limitati) destinati ai rimpatri volontari assistiti.
Sui giornali finiscono solo i casi eclatanti di insofferenza, come l’assalto all’ufficio immigrazione di Napoli, ma il nervosismo è diffuso. E a farne spesso le spese è chi è impegnato nell’assistenza, come è successo qualche giorno fa a un operatore del Cir, malmenato da un gruppo di profughi africani in una struttura di accoglienza in Puglia.
“Tutta questa confusione – ammonisce Hein – ci preoccupa, serve una parola definitiva e bisogna dare a queste persone un’informazione autorevole e uniforme in tutto il territorio nazionale. Per mesi, nonostante i nostri appelli, il governo si è lasciato andare nell’inerzia, senza approntare un piano di uscita dall’emergenza nord africa. Ora bisogna almeno limitare i danni, perché questa situazione è una mina vagante pronta ad esplodere”.
Elvio Pasca