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Carta blu. Il super permesso per i lavoratori qualificati? Un’odissea

Solo 600 in tre anni. Un veterinario siriano ha atteso 16 mesi per essere assunto in Italia. Bove (Cisl): “Norme inadeguate e ingiuste”

 

Milano – 18 dicembre 2015 – La chiamano un po’ odiosamente “immigrazione di qualità” ed è quella sulla quale l’Europa e l’Italia dicono di voler puntare. Programmatori, ingegneri, professori e così via,  che si sono già costosamente formati in patria e vengono qui da noi ad usare le loro competenze.

Per i lavoratori stranieri  altamente qualificati, l’Ue si è inventata anche un super permesso di soggiorno, la carta blu Ue, che praticamente li equipara ai cittadini comunitari. Gliela rilascia anche l’ Italia, che teoricamente apre le porte a questi particolari immigrati: possono arrivare senza limiti numerici e appena c’è bisogno di loro. 

A quanto pare, però, o l’Italia ha poco appeal, o il sistema non funziona. Dal 2012, quando la carta blu è stata istituita, sono state rilasciate poco più di 600 carte blu, a fronte di 1300 richieste. E per quanti sono riusciti a mettersele in tasca, l’attesa è stata estenuante, tale da scoraggiare le buone intenzioni di lavoratori e imprese.

Sate Kasouha, 39, è un veterinario siriano. Per anni ha fatto il consulente per il Medio Oriente di un’azienda che produce integratori e farmaci per gli animali a Sulbiate, vicino Milano. Quando però la stessa azienda ha provato ad assumerlo con la carta blu, è iniziata un’odissea

La richiesta del nulla osta  è partita ad agosto 2014, solo nei giorni scorsi, dopo 16 mesi, è stato possibile formalizzare l’assunzione. Questo solo dopo l’intervento della Cisl di Milano, che ha seguito il suo caso, e grazie all’interessamento di Questura e Prefettura. 

“La normativa è inadeguata e ancora troppo farraginosa, anche per i lavoratori qualificati” dice Maurizio Bove, presidente dell’Anolf Cisl Milano. In un mondo del lavoro che corre velocemente è impensabile dovere aspettare tanto. È ingiusto verso l’azienda e il lavoratore”.

Il sindacato punta il dito contro le difficoltà per il riconoscimento dei titoli di studio, l’eccesso di burocrazia e l’opacità delle norme.  Normale, insomma, sottolinea Bove, che l’”immigrazione di qualità” scelga altri lidi e che le aziende, scoraggiate, non la cerchino nemmeno: “Anche la nostra cultura, che vuole lo straniero adatto solo a lavori manuali o che gli italiani non vogliono più fare, non aiuta di sicuro”.  

Elvio Pasca

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