Roma – 22 marzo 2012 – Due pescatori indiani uccisi, due marò italiani arrestati con l’accusa di essere i loro assassini. La tensione tra Roma e Nuova Dehli è comprensibilmente altissima, ma l’aria che si respira per le strade, nelle case e nelle imprese dove italiani e indiani vivono e lavorano insieme è diversa: “Siamo amici”. Con buona pace di chi vorrebbe gli uni contro gli altri.
Gli immigrati indiani nel nostro Paese, contando solo i regolari, sono oltre centoventimila. “La maggior parte arriva dal Punjab, che dista tremilacinquecento chilometri dal Kerala e che ha rapporti tesi con il governo centrale. Il coinvolgimento emotivo in questa vicenda è quindi piuttosto basso” premette Harbinder Singh Dhaliwal, direttore del mensile della comunità, Punjab Express.
“L’idea prevalente – continua il giornalista – è che si debba lasciar fare alla giustizia indiana il suo corso. Se i marò non sono colpevoli non verranno condannati. Naturalmente ne parliamo con colleghi e amici italiani, ma c’è confronto, non scontro. I rapporti non si sono rovinati, nessun lettore ci ha segnalato un cambiamento nell’atteggiamento degli italiani, tantomeno episodi gravi come provocazioni, insulti o aggressioni”.
Anche Vikramjit Singh Khalsa segretario generale dell’ Italy Sikh Council, ritiene che “i rapporti con l’Italia e gli italiani sono buoni come sempre. Certo la comunità è preoccupata che le relazioni tra Italia e India possano peggiorare”. “L’interessamento a questa vicenda – aggiunge – dipende un po’ dalle persone, e comunque anche sui media indiani non se ne è parlato molto, se non a livello locale”.
“A Delhi non se ne parla quasi per niente” conferma Harvinder Kapil Singh, che attualmente è in patria, ma lavora in Italia come grafico, programmatore e documentarista. “Questa vicenda riguarda governi e tribunali, non i nostri popoli: gli italiani dovrebbero prendersela con gli indiani per l’arresto dei marò? Gli indiani dovrebbero odiare gli italiani per la morte dei pescatori?”.
Il segretario generale dell’ Italy Sikh Council denuncia che in India “si è cercato di strumentalizzare politicamente questa vicenda, considerato anche che in Kerala a giorni si va alle elezioni”. Ma anche in Italia c’è chi soffia sul fuoco, proponendo rappresaglie sugli immigrati indiani per fare pressioni sul governo di Nuova Delhi.
Luca Romagnoli, leader della Fiamma Tricolore, ha chiesto “l’immediato blocco del rilascio di nuovi permessi di soggiorno a cittadini Indiani e l’immediato rimpatrio per i cittadini Indiani già residenti in territorio italiano allo scadere del vigente permesso. Nessun rinnovo per i permessi in scadenza, nessun dovere di ospitalità, – sostiene l’esponente dell’ estrema desta – visto che il Governo indiano sequestra i nostri connazionali e mette a repentaglio gli interessi nazionali dell’Italia”.
La scorsa settimana i militanti di Gioventù Italiana, movimento giovanile de La Destra di Francesco Storace, hanno “sigillato” per protesta dei nastri di plastica una decina di ristoranti indiani della Capitale. Azioni accompagnate da un eloquente volantino: “Boicotta il made in India, marò liberi subito”.
“È sbagliato approfittare di questa vicenda per coinvolgere e penalizzare la comunità indiana” commenta Vikramjit Singh Khalsa. “Sono proposte razziste, un attacco ai diritti umani, senza considerare che imprese e lavoratori indiani pagano le tasse qui e contribuiscono al benessere dell’Italia” attacca Harbinder Singh Dhaliwal. “Vendicarsi sulla nostra comunità – sottolinea il direttore di Punjab Express – è anche inutile, non abbiamo certo la forza di influire sulle decisioni del governo indiano”.
Quelle sparate sono finite sui giornali indiani e hanno infiammato ulteriormente lo scontro diplomatico, ma finora, confermano gli esponenti della comunità indiana, non si sono tradotte in realtà. “Questi politici non hanno cose più importanti a cui pensare? Ci sarà – chiede Harvinder Kapil Singh – qualcosa di più serio da proporre che non boicottare i ristoranti indiani? Forse sono già vuoti, ma per colpa della crisi”.
Stranieri in Italia