I bandi dei Comuni per assumere rilevatori escludono i cittadini extraue. Tra discriminazione e mancanza di buon senso
Roma – 12 luglio 2011 – In autunno partirà il nuovo censimento della popolazione e, per la quindicesima volta nella sua storia, l’Italia conterà tutti i suoi abitanti, italiani e stranieri. Un compito importante, che a quanto pare non può essere affidato agli immigrati.
Per arrivare pronti all’appuntamento, i Comuni stanno pubblicando i bandi per assumere i rilevatori, cioè chi andrà casa per casa a ritirare i questionari del censimento, e i loro coordinatori. Sono previsti contrattini di lavoro temporaneo e parasubordinato, ma quasi ovunque c’è un paletto: serve la cittadinanza italiana o di uno dei paesi dell’Unione europea.
Secondo l’associazione studi giuridici sull’immigrazione, questa scelta viola il “principio generale di parità di trattamento tra lavoratori migranti regolarmente soggiornanti e nazionali “, e le norme comunitarie sulla “parità di trattamento in materia di accesso alle attività lavorative” a favore di specifiche categorie di cittadini extraue (familiari di cittadini di Stati membri UE, rifugiati politici e titolari della protezione sussidiaria, lungo soggiornanti).
Si tratterebbe insomma di una illegittima discriminazione, denunciata dall’Asgi in una lettera inviata ieri all’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali e alla Commissione europea. Osservazioni condivise anche dal Difensore Civico della Regione Emilia Romagna, che qualche giorno fa ha scritto al sindaco di Bologna criticando il bando del Comune per reclutare personale per il censimento.
Fin qui le considerazioni legali, che potrebbero essere corroborate anche dal buon senso. Quel che conta è la riuscita del censimento, che dovrà contare anche gli immigrati. È più facile che aprano la porta a un rilevatore italiano o a qualcuno che magari parla anche la loro lingua?
Elvio Pasca