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Cercasi sindacalisti immigrati

Nelle gerarchie del sindacato gli stranieri sono ancora sottorappresentati. Le storie di El-Akkioui e gli altri

Immigrati e sindacato. 3a puntata


Roma – 14 maggio 2010 – Quale sia il sindacato più “multietnico” non lo rivelano tanto gli iscritti quanto i sindacalisti e rappresentanti stranieri nelle aziende.  E tutti e quattro i sindacati concordano sulla necessità di inserire un maggior numero di stranieri nei propri organismi, anche a livelli dirigenziali. E’ probabilmente la consapevolezza che ce ne sia bisogno che fa dire a Luciano Lagamba (Sei Ugl): “Spero di lasciare la presidenza ad un immigrato”.

La gerarchia sindacale è un po’ complessa per i non addetti ai lavori. Comunque, il percorso di ogni sindacalista è individuale: si può fare un percorso per gradi magari iniziando come rappresentante sindacale all’interno di un’azienda (Rsu), poi diventando funzionario del sindacato stesso, poi dirigente della Camera del Lavoro o ancora dirigente di categoria a livello territoriale, in seguito provinciale, regionale e infine nazionale. Oppure si può anche seguire un simile percorso nell’ambito della struttura confederale. Ma non ci sono modalità o percorsi prestabiliti per rivestire un determinato ruolo sindacale.

“Nella Cisl – dice Liliana Ocmin – i sindacalisti stranieri sono 4.315 su un totale di 42.788, il 10% del totale. Molti ricoprono ruoli apicali all’interno dell’organizzazione. Ci sono componenti delle segreterie territoriali e regionali, ma anche componenti dei consigli generali delle categorie, a livello territoriale, regionale e nazionale”.

“Comunque gli immigrati che hanno oggi posizioni importanti nella Cisl – sottolinea Ocmin, – non sono stati eletti perchè immigrati, ma in quanto meritevoli, in funzione del loro impegno e della loro professionalità. Si è garantito realmente il principio di non discriminazione e di pari opportunità”.

“Di delegati stranieri eletti nelle Rsu – dichiara Soldini – la Cgil ne ha circa mille, mente 150 sono i funzionari di cui dieci quadri, inseriti nelle segreterie regionali o confederali”. Trattasi di dati parziali perché – come sottolinea Bahram Asghari del Dipartimento Organizzazione della Cgil – “se consideriamo anche i livelli inferiori, dove la partecipazione degli stranieri è tripla, le cifre sarebbero molto più alte”. “Il problema è – continua Asghari – che proprio in questo momento stiamo in fase di censimento e non siamo in grado di fornire il numero totale dei nostri sindacalisti, né di quelli stranieri né in generale”.

Pur non conoscendo dunque le esatte proporzioni, lo stesso Soldini ammette che “se seguiamo il principio della rappresentanza proporzionale, siamo in difetto nei confronti degli iscritti stranieri. Perciò – spiega Soldini – stiamo lavorando a un’ipotesi di rappresentanza attraverso il modello delle ‘quote’".

Non di vere e proprie quote ma di un po’ di multietnicità in più all’interno della Uil sarebbe felice anche Casucci. “Per essere sindacalista ci vuole anche passione per questo mestiere – dice – perciò istituzionalizzare un “modello quote” no, ma sarebbe bene dare maggiore spazio agli stranieri e vederli rivestire più spesso cariche alte nella gerarchia sindacale. Proprio in occasione dell’ultimo congresso nel comitato centrale della Uil, quindi a livello confederale, – sottolinea Casucci – sono state inserite tre donne immigrate”.

Ad oggi la Uil dichiara di avere 439 stranieri nelle Rsu e 349 funzionari confederali a vari livelli. Ma non è possibile sapere qual è la percentuale che questi rappresentano sul totale dei sindacalisti perché l’ufficio organizzazione della Uil dice di non conoscere il numero degli Rsu e, quanto ai confederali, non ritiene di dover fornire informazioni.

Al Sei Ugl, infine, non ci sono dipendenti immigrati, sono tutti volontari che – come già detto – prendono una percentuale sulle iscrizioni. Le strutture a livello provinciale e regionale del Sei sono guidate da un cittadino straniero nel 77% dei casi.

Ma attenzione, quasi sempre è lo stesso sindacalista straniero a ribadire di non interessarsi esclusivamente alla fetta immigrata del sindacato. Come racconta Giovanni Mottura  docente di Sociologia del lavoro dell’Università di Modena, durante un corso di formazione della Cgil tenutosi qualche anno fa, un delegato senegalese ha voluto precisare: “Siamo qui per formarci non come rappresentanti degli immigrati, ma come sindacalisti”. Resta comunque indubbia l’importanza di rappresentanti stranieri sia in luoghi di lavoro particolarmente multietnici per combattere l’intolleranza, sia ai tavoli della contrattazione.

A rendersene conto – dopo i fatti di Rosario all’inizio dell’anno – è anche il Ministero per le Pari Opportunità Mara Carfagna. “Insieme con Cgil, Cisl, Uil e Ugl – ha detto lo scorso gennaio Carfagna – abbiamo deciso di utilizzare i fondi europei già stanziati, attraverso l’Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali, per creare e far crescere figure di sindacalisti tra i lavoratori stranieri, allo scopo di prevenire discriminazioni e conflittualità su base etnica e diffondere la cultura del rispetto delle regole e dei diritti individuali e collettivi dei nuovi cittadini".

El-Akkioui e gli altri
Tra i sindacalisti stranieri ci sono artisti, avvocati, operai. Vengono da tutte le parti del mondo e in genere hanno avuto il tipico percorso in salita dell’immigrato, e sono tutti abbastanza giovani. Quando sono arrivati parlavano ucraino, arabo, romeno, albanese e ora dibattono su problemi burocratici e sindacali in milanese, romano o napoletano. Lo fanno con sicurezza e convinzione, come se il sindacato fosse proprio il vestito che hanno sempre voluto indossare. Rivestono ruoli diversi e ognuno dalla propria posizione  – dal delegato al dirigente – difende i diritti dei lavoratori, indipendentemente dalla loro cittadinanza.

Tra gli immigrati saliti più in alto nella scala gerarchica sindacale c’è Moulay el-Akkioui, il “tuareg” segretario nazionale degli edili Cgil (Fillea). E’ approdato ai vertici del sindacato italiano nel 2006, dopo vent’anni di attività sindacale, prima da semplice delegato, poi da responsabile dell’immigrazione, poi ancora nelle segreterie provinciale e regionale e dopo esser stato segretario generale della Fillea di La Spezia. “Mi sono fatto tutto il percorso e la gavetta per arrivare alla mia posizione attuale e sono fiero di esserci riuscito”, dice Moulay.

E’ venuto dal Marocco nel 1987 portandosi in tasca una laurea in biologia, l’esperienza degli studi in matematica non conclusi all’università di Montpellier e un’infanzia da pastore e boscaiolo accanto al papà. Arrivato qui, e regolarizzato dalla legge Martelli, prima di iniziare la carriera da sindacalista,  ha fatto l’analista di laboratorio, l’operaio, il giardiniere, girando un po’ tutta l’Italia. In realtà questa è un piccolo flash del suo percorso. “Quando penso a tutto quello che ho fatto – dice Moulay el-Akkioui – mi sembra di aver vissuto duemila anni”.

Oggi Moulay ha la cittadinanza italiana ma il cuore resta marocchino. E infatti non passa anno senza che torni a visitare Bouadil, il piccolo villaggio dove è nato. Ha 45 anni, una moglie e due figli: una famiglia di nuovi italiani musulmani. “Per raggiungere traguardi ambiziosi – spiega – servono principalmente tre cose: la passione, il rispetto e la competenza che si ottiene aggiornandosi continuamente e incrementando il sapere”.

E la passione di Moulay nel suo lavoro è indubbia. Spicca anche quando vuole promuovere l’intercultura nel settore edile e quando insiste sulla necessità di concedere agli immigrati regolari il potere politico e i diritti che hanno gli italiani.

Ed è la stessa passione che si sente parlando con Qamil Zejnati, rappresentante a Prato della Uilta-Uil, la categoria dei tessili, e responsabile dell’Ufficio stranieri. “Ho bisogno del front-office – dice – mi sento appagato quando posso colloquiare con le persone, capirle e aiutarle a risolvere i problemi lavorativi o burocratici che incontrano”.

Nel ’91 Qamil arriva in nave a Brindisi. Aveva da poco concluso gli studi di flauto traverso all’Accademia delle belle arti di Tirana. In Italia inizia a collaborare con il Comune di Prato: fa da tramite nei rapporti tra l’amministrazione e i suoi connazionali che avevano bisogno di una sistemazione provvisoria, poi lavora nell’ufficio immigrazione e alla biblioteca comunale. Più tardi viene assunto in una ditta tessile e si iscrive al sindacato. Diventa delegato nel ’96, nel ’98 inizia la carriera da sindacalista attraverso la legge 300 e dal 2000 è dipendente Uilta. “Quando Angelo Colombo creò la Uilta di Prato – racconta Qamil – io ero uno dei 17 tesserati ‘fondatori’. Ora gli iscritti sono 1300 di 113 etnie diverse”.

Spiega Qamil: “All’inizio i sindacati prendevano gli stranieri come collaboratori ad ore con l’idea che in questo modo avrebbero fatto avvicinare gli immigrati al sindacato. Questo è stato un errore. La Uilta ha puntato subito su di me facendomi un contratto come quadro. Tutti i sindacati avrebbero dovuto dare fiducia agli stranieri da subito. Oggi, però, c’è una maggiore apertura, il che dimostra che molti passi sono stati fatti e si stanno facendo”.

Moulay e Quamil sono solo due esempi. Morad el-Omari, un altro marocchino, è segretario provinciale della Filca-Cisl di Teramo, oltre ad essere dirigente della comunità islamica abruzzese. Arrivato in Italia nel 2000 con una laurea in economia, si è rimboccato le maniche e ha lavorato prima in una fabbrica  e poi in un panificio per sei notti a settimana. E’ approdato alla Cisl dopo aver vinto un concorso letterario organizzato dall’Anolf (l’associazione della Cisl dedicata agli immigrati).

Alla Cisl di Padova c’è Abdoulaye Laity Fall, un informatico di quasi due metri venuto dal Senegal che tutti chiamano Pap. La Fillea di Pescara può vantare la presenza di un funzionario togolese, mentre Felix Andres Diaz Acevedo, della Repubblica Domenicana, è delegato della Fai-Cisl di Verona. Nataliya Tsebryck, da due anni è dirigente nazionale dell’Ugl. E’ arrivata dall’Ucraina nel ’99 con due lauree e qui aiuta italiani e stranieri a fare il calcolo del Tfr o della pensione, a fare il ricongiungimento familiare o il rinnovo del permesso di soggiorno, operazioni che lei stessa chiama un “rompicapo”. “Bisogna starci dentro per capire”, dice.

Poi ancora – per fare qualche altro nome – ci sono: nella Cgil – Shawky Geber, egiziano, dirigente della Fillea di Milano e il senegalese Adama Mbodj, segretario generale della Fiom di Biella, nonché presidente del comitato centrale della Fiom – massimo organismo dirigente dei metalmeccanici Cgil; nella Cisl – Ewa Blasick, polacca, segretario della Cisl del Lazio con diverse deleghe e Liliana Ocmin, peruviana, segretario confederale Cisl, il ruolo più importante conferito a un immigrato nel sindacato italiano; della Uil – Hassan El Mazi, marocchino, responsabile immigrazione della Uil di Reggio Calabria e Pilar Saravia – coordinatore immigrati Uil di Roma e oggi anche nel comitato centrale.

Antonia Ilinova

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