Roma – 4 aprile 2013 – “I Centri di Identificazione ed espulsione non sono riformabili, vanno chiusi. La politica deve trovare un nuovo modo per affrontare il problema dell’immigrazione clandestina. Queste sono strutture con le quali la politica ha tentato di affrontare ideologicamente un problema sociale facendo solo vedere i muscoli e parlando alla pancia”.
L’avvocato Salvatore Scuto, presidente della Camera Penale di Milano, ieri mattina ha visitato il Cie di via Corelli insieme a una delegazione dell'Unione delle Camere Penali Italiane. “È una struttura ben gestita dalla Croce Rossa – premette a Stranieriinitalia.it- ma di fatto è una vera e propria casa di reclusione per persone che non hanno fatto niente. Sono lì solo perché non sono identificabili. Il paradosso è che molti di questi sono stati già in carcere, e quindi lì un’identificazione deve essere stata fatta”.
Secondo il penalista, per molti aspetti i Cie “sono peggio delle carceri. Ad esempio, ai trattenuti è assicurata l’assistenza sanitaria solo per le cure urgenti, ma non hanno diritto alle altre prestazioni del servizio sanitario nazionale. Quindi quando si fanno male vengono portati al pronto soccorso per le prime cure, ma se dopo qualche tempo, per un controllo, serve una risonanza magnetica, è un problema”.
Eppure le norme europee contemplano questi centri e anche il trattenimento fino a 18 mesi. “Sì, ma solo come extrema ratio. Prima di arrivare a questo punto – segnala Scuto – devono essere messe in campo molte altre ipotesi, come ad esempio l’obbligo di firma. Tra l’altro la gestione è complessa e molto dispendiosa. Vengono impiegate molte risorse, ma il bilancio tra benefici e costi è decisamente negativo”.
I penalisti italiani hanno visitato anche altri Cie, questa non è la loro prima denuncia. “Vogliamo accendere un faro. I Cie sono frutto di un’ideologia che ha accomunato il centrosinistra, che li ha istituiti nel 1998, e il centrodestra, che ha prolungato la durata massima dei trattenimenti” fa notare il presidente della Camera Penale di Milano. “Noi chiediamo – conclude – che si affronti il problema in maniera più intelligente, senza arrivare a una limitazione della libertà così pesante”.
Elvio Pasca