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Cittadinanza. Alla Camera le storie delle seconde generazioni, “fino alla riforma”

Kyenge: “Ogni giorno in Aula parleremo di un ragazzo o di una ragazza ancora senza cittadinanza”. Come Samira Mangoud, nata e morta a Roma da straniera in Italia

Roma – 7 aprile 2014 – Le storie delle seconde generazioni arrivano alla Camera dei Deputati. Verranno raccontate in Aula finchè da quei banchi uscirà una nuova la legge secondo la quale i ragazzi e le ragazze che crescono qui sono italiani anche se hanno mamme e papà immigrati.

È la nuova iniziativa per la riforma della cittadinanza lanciata in questi giorni da un gruppo di deputati di diversi schieramenti capeggiati da Cècile Kyenge. I più numerosi sono i parlamentari del PD, ma si contano anche adesioni di SEL,  Pi, Sc, Socialisti e, unica per ora dal centrodestra, Renata Polverini di FI.

“L'Italia conta circa un milione di giovani nati e/o cresciuti qui. Per la legge restano stranieri, anche se non lo sono Considerano l’Italia la loro casa, la loro Nazione, ma questa Nazione non li considera suoi cittadini. E loro non hanno un'altra patria” spiegano presentando l’iniziativa, che vuole “dare voce in Parlamento ai nuovi italiani”.

“Finché in quest’Aula non discuteremo la nuova legge sulla cittadinanza, i firmatari di questa iniziativa racconteranno ogni giorno la storia di un ragazzo o di una ragazza ancora senza cittadinanza” ha annunciato giovedì Kyenge prendendo la parola a Montecitorio. Saranno “storie di speranze, dolori, peripezie burocratiche, disillusione, storie di tutti i giorni, fatte anche di successi in salita ma successi ancora più veri e specchio della loro voglia di essere italiani”.

La prima storia, raccontata in Aula dalla deputata di PI Fucsia Fitzgerald Nissoli, è stata quella di Samira Mangoud, attivista della Rete G2 nata a Roma nel 1980, da madre filippina e padre egiziano.

“Ho una laurea come assistente sociale e lavoro per uno sportello informativo sull'handicap del comune di Roma” raccontava Samira nel 2007 in una lettera denuncia. “Dopo un contratto a tempo determinato me ne hanno fatto uno a progetto mentre tutte le mie colleghe hanno avuto un contratto a tempo determinato, più lungo, e che dà più tutele rispetto a me e questo non per le mie incapacità professionali ma perché non ho ottenuto il passaporto italiano e le leggi sono poco chiare”.

“A 18 anni – spiegava la ragazza – non avevo fatto domanda per diventare cittadina italiana, nessuno me lo aveva detto, così ora nonostante la mia laurea, il comune non mi assume perché sono una cittadina filippina. Io sono nata qui e sono sempre vissuta qui. Mi considero italiana, eppure devo accontentarmi di meno soldi e garanzie e fare causa al comune per discriminazione”.

Samira è morta a Roma il 20 febbraio del 2010, a soli 29 anni, prima che il giudice decidesse sul suo caso. “Il problema di Samira Mangoud, come di molte seconde generazioni – ha spiegato Fitzgerald Nissoli – è quello di non sapere di dover richiedere la cittadinanza italiana tra i 18 e i 19 anni come previsto dalla legge, per l'acquisizione della cittadinanza italiana per i figli di immigrati extracomunitari. Di conseguenza, Samira è rimasta cittadina straniera in un Paese a lei non affatto estraneo, visto che era l'unico dove avesse mai vissuto”.

EP

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