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Cittadinanza. I vescovi: “Riconoscerla alle seconde generazioni”

"La loro identità è costruita nel dubbio". Sarubbi (Pd): "Cattolici del Pdl ascoltino questo appello"

Roma – 11 maggio 2010 – "Come, tenendo anche conto delle esperienze di altre nazioni, riconoscere la cittadinanza ai figli di stranieri?". Se lo chiedono i vescovi italiani, che inseriscono questo tem,a tra le dodici priorità per il futuro dell’Italia indicate nel documento preparatorio alle Settimane sociali dei cattolici.

La Cei riflette sui “figli dell’immigrazione”, oltre un milione di ragazzi che “pensano in italiano, sognano in italiano, hanno una grande voglia di riscatto e di far meglio dei loro genitori”. “Li attendono numerose difficoltà comuni a tutti i giovani in Italia, più una: quella di riuscire a riconciliare la loro quotidianità italiana con un’identità costruita nel dubbio di non vedersi riconosciuta la cittadinanza”.

La legge attuale, ricordano i vescovi" prevede infatti per gli stranieri nati in Italia la necessità di dimostrare, al compimento della maggiore età, la loro residenza legale dalla nascita e senza interruzioni. Questo meccanismo, messo a punto nel 1992, quando gli stranieri diciottenni nati in Italia erano ancora pochi, ha finito per trasformarsi in una probatio perversa per migliaia di ragazzi e ragazze, le cui famiglie hanno dovuto seguire un percorso d’emersione dall’irregolarità attraverso sanatorie e regolarizzazioni".

"I vescovi italiani hanno perfettamente ragione: l’attuale legge sulla cittadinanza norma in maniera sbagliata un Paese che peraltro non esiste più. Purtroppo, chi detta la linea nella maggioranza su cosa significhi oggi essere italiano è lo stesso partito di chi vuole insegnare il dialetto nelle scuole, di chi si e’ sposato con rito celtico, di chi insulta l’inno di Mameli, di chi snobba i 150 anni dell’unita’ nazionale, di chi non e’ mai stato a sud di Roma” commenta Andre Sarubbi, il deputato del Pd che ha firmato con il finiano Fabio Granata un progetto di riforma bipartisan della cittadinanza.

"I tanti cattolici del Pdl – esorta  Sarubbi – ritrovino un sussulto di dignita’ e ascoltino l’appello dei vescovi invece di affannarsi nella rincorsa dei neo-esegeti padani. I diritti, l’etica, i numeri e la realta’ dicono che la concessione della cittadinanza a chi nasce e cresce nel nostro Paese e’ un’opportunita’ di sviluppo non piu’ procrastinabile".

La sponda, nel Popolo delle Libertà, è offerta dai finiani. Fabio Granata definisce “alto e nobile il richiamo della Cei per nuove politiche di cittadinanza. Il Parlamento, nella sua piena autonomia, discuta liberamente di una norma che promuova integrazione e cittadinanza”.

Oltre che superare le resistenze della Lega, per una riforma della cittadinanza bisognerà però trovare anche un’intesa con il resto del Pdl. Ieri il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto, senza affrontare il tema delle seconde generazioni,  ha ribadito che “la cittadinanza non e’ uno strumento di integrazione”, e ch servono “tempi e procedure molto serie".

Secondo Cicchitto, “sarebbe bene rendere il tempo di dieci anni effettivo [ contro i 12-13 attuali dovuti alla burocrazia] e raccogliere dalla proposta Granata-Sarubbi quegli esami linguistici e storici che tolgono appunto ogni automatismo ad un’operazione che dovrebbe rivestire il significato di un’assimilazione profonda di cio’ che significa essere o diventare italiano".

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