I paletti fissati dalla Commissione Bilancio su gestione delle domande e welfare. La Ragioneria dello Stato ha però già spiegato che non ci saranno effetti rilevanti per le casse pubbliche
Roma – 17 agosto 2016 – Parcheggiata da mesi a Palazzo Madama, tra migliaia di emendamenti che la commissione Affari Costituzionali non si decide a discutere, la riforma della cittadinanza per i figli degli immigrati (leggi i punti principali) ha un futuro incerto. Almeno un passetto avanti, però, questa estate lo ha fatto.
Il 3 agosto, mentre si preparavano alla ferie, i senatori della commissione Bilancio hanno trovato finalmente il tempo, una manciata di minuti, per esprimere il loro parere sulla riforma, un passaggio secondario ma comunque indispensabile per il prosieguo del cammino del ddl 2092. Il parere è favorevole, ma a un paio di condizioni .
Il testo, formulato dalla relatrice Magda Zanoni (Pd), chiede infatti “che le attività istruttorie connesse ai procedimenti di acquisizione della cittadinanza derivanti dall’applicazione delle nuove norme avvengano in condizione di invarianza finanziaria, tanto dal lato del gettito quanto da quello della capacità di far fronte al maggior carico di lavoro da parte delle amministrazioni competenti con le attuali dotazioni di bilancio; che l’aumento del numero di conferimenti della cittadinanza italiana non sia in grado di determinare un’espansione delle prestazioni sociali, assistenziali e sanitarie, stante l’attuale quadro normativo di tutela dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti.”
Insomma, la riforma deve essere a costo zero per lo Stato. Questo sia per la gestione delle dichiarazioni e domande degli aspiranti nuovi italiani, che saranno subito centinaia di migliaia, sia, soprattutto, per il welfare di cui godranno quanti prenderanno la cittadinanza tricolore.
In realtà a riguardo si è già espressa, lo scorso febbraio, la Ragioneria Generale dello Stato, proprio su richiesta della commissione bilancio del Senato. Nella loro relazione tecnica sul ddl 2092, gli esperti del ministero dell’Economia hanno spiegato che questo non avrà effetti rilevanti sulle finanze pubbliche, soprattutto perché le prestazioni sociali, assistenziali e sanitarie previste per gli italiani, sono grosso modo le stesse previste anche per gli immigrati regolari e i loro figli.
La riforma, quindi, per come è scritta finora, già rimane all’interno dei paletti fissati dalla Commissione Bilancio, che tra l’altro si è mossa con una calma esagerata. Per esprimersi ci ha messo tre sedute, ma la prima risale al 25 novembre dello scorso anno, la seconda al 10 febbraio e solo dopo sette mesi di riflessione è ha finalmente partorito un parere.
Elvio Pasca