Roma – 4 giugno 2014 – Una via breve alla cittadinanza italiana per i figli dei rifugiati. Da aprire senza cambiare la legge, ma solo interpretando in maniera estensiva una norma già esistente.
È lo scenario prospettato ieri dal sottosegretario all’Interno Domenico Manzione, al termine di un convegno sul diritto d’asilo organizzato alla Camera dei Deputati dall’Anfaci, associazione che riunisce i funzionari civili del ministero dell'Interno.
“Stiamo mettendo a punto una circolare interpretativa ormai quasi pronta e in emanazione a breve scadenza” ha anticipato Manzione, magistrato di area renziana che al Viminale ha le deleghe all’immigrazione. L’obiettivo è “riconoscere la cittadinanza italiana a coloro che sono figli di chi ha ottenuto la protezione internazionale”, quindi, appunto, rifugiati e titolari di protezione sussidiaria.
Questi ragazzi verrebbero equiparati ai figli degli apolidi, per i quali già vale il principio dello ius soli. La legge 91 del 1992 dice infatti che è italiano per nascita, oltre a chi è figlio di un italiano, anche “chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono”.
Una misura significativa, destinata a far discutere come succede ogni volta che si pronuncia la formula “ius soli”, ma che comunque, ha ammesso lo Manzione, avrà un impatto “ristretto”. Fonti qualificate del Viminale citate oggi dal Sole 24 Ore parlano infatti di una platea di appena duecento beneficiari.
Elvio Pasca