Il caso. Per diventare italiano, Chouaib Bel Mouden dovrà dimostrare di non aver commesso crimini in Marocco. Ma quando è arrivato qui aveva meno di un anno…
Roma – 3 febbraio 2017 – Piccoli, ma insidiosi. Per la burocrazia italiana, i figli degli immigrati possono essere temibili baby criminali.
Prendete, ad esempio, Chouaib Bel Mouden. Impossibile che ricordi quel 27 novembre 1994, quando da Casablanca raggiunse suo padre a Vittorio Veneto, Treviso, perché non aveva compiuto neanche un anno. Da allora, ha visto diventare italiani i genitori, le due sorelle e i due fratelli. Ha visto nascere nipoti italiani. Lui no, lui in famiglia è rimasto l’unico straniero.
“Eppure da ragazzino ero convinto di essere italiano. A Vittorio Veneto sono andato al nido e ho frequentato tutte le scuole fino a diplomarmi all’alberghiero. Non capivo gli sbattimenti dei miei genitori, non mi chiedevo perché eravamo sempre in Questura. L’ho capito più tardi, quando ho scoperto che per la legge ero anche io un immigrato” racconta a Stranieriinitalia.it.
Con in tasca una carta di soggiorno, a diciassette anni Chouaib si è trasferito a Trieste per lavorare, prima come barista, poi come responsabile di sala. Solo ora che ha 23 anni, 22 anni di residenza regolare e ininterrotta e, soprattutto, un reddito sufficiente, ha potuto avviare le pratiche per cancellare l’ultima eccezione della famiglia. Sulla strada per la cittadinanza, come tanti altri figliastri d’Italia, si scontra però con una pretesa che pare assurda.
“In Prefettura mi hanno detto di procurarmi un certificato penale dal Marocco, dove risulti che lì non ho commesso crimini. Io avevo letto sul sito del ministero dell’Interno che per chi è arrivato qui entro i 14 anni non serviva, ma mi hanno spiegato che bisogna allegarlo alla domanda, perché ora il ministero lo vuole. È incredibile, io sono solo nato in Marocco, quali crimini posso aver commesso lì quando avevo meno di un anno?”
Il Viminale ha messo questo prassi nero su bianco. “Si conferma che è necessario chiedere il certificato penale del Paese d’origine anche per coloro che sono giunti in Italia prima del compimento dei quattordici anni, soprattutto nell’eventualità che l’interessato possa aver avuto residenze all’estero nel corso del periodo considerato” si legge in una circolare del novembre 2015.
Chouaib Bel Mouden in realtà in Marocco è andato solo due volte quando era bambino e una volta un paio di anni fa, sempre per brevi vacanze mordi e fuggi. “Sette, dieci giorni, al massimo due settimane. Il tempo di salutare nonni, zii e cugini e di rendermi conto che per me quello è un altro mondo. Però il certificato serve lo stesso”.
Per procurarselo dovrà tornare di persona a Casablanca oppure delegare qualcuno (“forse una zia, con la quale non ho grossi rapporti”) e farselo spedire. Ci sono in mezzo file e carte bollate, perdite di tempo e di soldi, ma solo così potrà finalmente dimostrare allo Stato Italiano che non era un enfant prodige del crimine.
Cosa prova? “Sbalordimento e rabbia. Questa è l’ennesima conferma che la riforma della legge sulla cittadinanza è indispensabile. Tanti miei amici, italiani “di sangue”, dicono che abbiamo delle regole assurde e che io sono italiano più di loro. E invece non posso fare quello che fanno gli altri: mi hanno offerto un lavoro a New York, ma se resto fuori dall’Italia più di un anno mi tolgono la carta di soggiorno e non posso più tornare”.
Chouaib Bel Mouden è uno degli attivisti del movimento Italiani Senza Cittadinanza. “Sulla riforma siamo ancora ottimisti, si può fare. I senatori la smettano di ignorarci, capiscano che sono in gioco le nostre vite. Non possiamo votare al posto loro, non possiamo nemmeno votare per scegliere chi ci rappresenta, ma possiamo protestare e continueremo a farlo fino a quando non cancelleranno questa ingiustizia”.
Elvio Pasca