Ius soli e tempi dimezzati per diventare italiani. Il testo completo della proposta Sarubbi-Granata
Roma -17 settembre 2009 – La proposta di riforma della cittadinanza firmata dal deputato del Pd Andrea Sarubbi e dal collega del Pdl Fabio Granata ha iniziato il suo cammino alla Camera.
Il testo guarda alle seconde generazioni, dando molto più peso allo ius soli, e dimezza i tempi per le naturalizzazioni se sussistono determinate “garanzie” di integrazione.
Sarebbe subito italiano chi nasce qui se la madre o il padre è legalmente in Italia da almeno cinque anni, e diventerebbe italiano il minore che completa almeno un ciclo di studi in Italia. Cittadinanza anche per chi è arrivato in Italia quando aveva al massimo cinque anni e vi ha risieduto legalmente fino alla maggiore età.
Gli stranieri adulti potrebbero invece acquistare la cittadinanza dopo cinque anni di residenza legale. Dovrebbero però avere un reddito non inferiore a quello richiesto per il permesso da lungo soggiornanti (per il 2009 di 5.317,65 euro) , una conoscenza di base dell’italiano parlato e una conoscenza soddisfacente della vita civile e della costituzione italiana.
La sfida della Sarubbi-Granata sarà raccogliere appoggi trasversali in Parlamento, superando i veti della Lega. Qui di seguito trovate il testo completo.
Elvio Pasca
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PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati
SARUBBI, GRANATA
Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza
Presentata il 30 luglio 2009
Onorevoli Colleghi! – L’Italia è passata, in un arco di tempo relativamente breve, da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione. Ma se questo dato di fatto può dirsi ormai acquisito a livello teorico, non lo è altrettanto nella mentalità dei nostri concittadini, e questo forse anche a causa dell’esistenza di norme del nostro ordinamento che mal vi si adeguano. L’Italia, infatti, non è solo diventata un Paese di immigrazione, ma di un’immigrazione stabile, strutturale. Se all’inizio di questa trasformazione, come ponte sul Mediterraneo, era meta transitoria di flussi di persone dirette per lo più verso il centro-europa, adesso l’Italia è diventata meta finale del processo migratorio. Emblematico, in questo senso, il dato riguardante la cancellazione dai registri anagrafici degli stranieri. Nel 2007, circa 20.000 persone si sono cancellate a fronte delle 480.000 presenti; un saldo positivo, quindi, di circa 460.000 unità, in costante crescita rispetto agli anni precedenti. Ma altri indici testimoniano ancora meglio l’articolazione della popolazione straniera nel nostro territorio. Sempre nel 2007, i nati di cittadinanza non italiana hanno superato quota 64.000, corrispondenti a circa l’11,4 per cento del totale, con un incremento di quasi il 90 per cento rispetto alla situazione di soli sei anni fa. Importanti sono anche le cifre riguardanti il mondo del lavoro (stranieri sono poco meno del 10 per cento degli occupati), l’incidenza sul lavoro autonomo (165.000 nel 2007 sono stati i titolari di impresa; 52.000 i soci e 86.000 le altre figure societarie) e di chi acquista casa (120.000 i mutui accesi dagli stranieri). Tutti dati che dimostrano come la popolazione straniera tenda a scegliere l’Italia come Paese di adozione.
Questa «doppia vocazione», di porta di accesso dei flussi e di tappa finale di essi, rende evidente la necessità, non più derogabile, di un combinarsi di politiche capaci di governare l’immigrazione tanto sul fronte della sicurezza che su quello dell’integrazione. È necessario, infatti, garantire una gestione dei flussi di ingresso ordinata e tale da evitare l’ingenerarsi nella popolazione residente di allarmismi e di paure e, allo stesso tempo, impegnarsi nel supportare chi ha deciso di stabilirsi nel nostro Paese e di intraprendere un cammino volto a raggiungere la piena integrazione sociale, civile e culturale, condizione che ha riflessi evidenti sulla stabilità sociale.
I numeri assoluti dell’immigrazione riguardanti il nostro Paese confermano questo stato di cose. Sempre prendendo il 2007 come anno di riferimento, si nota che l’Italia si colloca tra i primi Paesi di immigrazione dell’Unione europea con i suoi circa 4.000.000 di stranieri regolarmente residenti, con un’incidenza intorno al 6 per cento rispetto all’intera popolazione, dati vicini a quelli della Francia (4.900.000) e inferiori alla Germania (7.200.000) e alla Spagna (5.200.000). Numeri simili, dunque, per quanto riguarda la rilevanza del fenomeno, ma completamente diversi rispetto alla sua articolazione. Se prendiamo uno dei tipici indici di integrazione, ovvero il numero di cittadinanze concesse, notiamo la differenza macroscopica tra questi Paesi: nel 2005, 19.266 stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana; nello stesso periodo erano 154.827 in Francia, 117.241 in Germania e 48.860 in Spagna. Utile in questo senso è anche l’analisi delle cittadinanze concesse in Italia negli ultimi anni. Si nota un aumento importante (dalle 10.645 nel 2002 alle 35.766 del 2006) ma che non raggiunge mai il livello degli altri grandi Paesi europei di immigrazione. Emblematico è, poi, il dato riguardante il rapporto tra cittadinanze concesse per matrimonio, che raccolgono circa i quattro quinti delle intere richieste di concessione, rispetto a quelle per residenza. È un dato, questo, tipicamente italiano, che dimostra come la cittadinanza per residenza, frutto di un processo di radicamento sostanziale, sia un’opzione che di fatto non viene presa in considerazione dal cittadino straniero, che continua per lo più a sentirsi e a vivere in Italia come ospite, dato sottolineato recentemente anche dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL), che giudica l’incidenza delle acquisizioni di cittadinanza in Italia come «poco significativa se non insoddisfacente» («Indici di integrazione degli immigrati in Italia, IV e V Rapporto», Roma 2008).
Del resto la legge 5 febbraio 1992, n. 91, che disciplina l’acquisto della cittadinanza in Italia, individua un percorso meramente quantitativo attraverso alcune condizioni passive. È richiesto un arco temporale molto lungo (dieci anni che salgono nella realtà a tredici-quindici anni) che impedisce, di fatto, che l’acquisizione a pieno titolo dei diritti civili legati alla cittadinanza diventi un obiettivo che il cittadino straniero residente in Italia reputa davvero perseguibile. Inoltre è un provvedimento di tipo concessorio, che esclude quindi la partecipazione attiva del richiedente all’iter di acquisizione.
La presente proposta di legge poggia invece su due capisaldi: da un lato mira a fare sì che il minore nato in Italia da un nucleo familiare stabile acquisisca i pari diritti dei coetanei con i quali affronta il percorso di crescita e il ciclo scolastico; in tal modo si evita il crearsi di una «terra di mezzo», dove i bambini nati da genitori non italiani crescano con un senso di estraniazione dal loro contesto, pericoloso per il futuro processo di integrazione e di inserimento sociali del minore. Questo si ottiene passando dall’attuale principio dello «jus sanguinis», sul quale è basata la legislazione vigente, al principio dello «jus soli», temperato e condizionato dalla stabilità del nucleo familiare in Italia o dalla partecipazione del minore a un ciclo scolastico-formativo.
L’altro caposaldo della presente proposta di legge prevede una svolta paradigmatica nella concezione del meccanismo di attribuzione della cittadinanza in Italia, passando da un’ottica «concessoria e quantitativa» a un’ottica «attiva e qualitativa». La cittadinanza deve diventare per lo straniero adulto un processo certo, ricercato e formativo; il punto di arrivo di un percorso di integrazione sociale, civile e culturale e il punto di partenza per il suo continuo approfondimento. L’idea fondamentale è, da un lato, quella di fornire tutti gli strumenti idonei a favorire il processo che porta al pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza a chi dimostri di volersi integrare nel tessuto sociale e civile della nazione che lo ospita; dall’altro, quella di non far scattare automatismi laddove questa volontà non sia espressa esplicitamente. È difficile affermare infatti, vista l’entità dei flussi, che le vigenti norme sulla cittadinanza abbiano costituito un efficace deterrente contro l’immigrazione nel nostro Paese: inefficaci in questo, esse rischiano, invece, di costituire un poderoso argine contro il processo di integrazione, con ricadute dirette sulla stabilità sociale e, quindi, sulla sicurezza reale e percepita dei cittadini.
Per compenetrare i due aspetti complementari della questione, sicurezza e integrazione, alcuni articoli della presente proposta di legge individuano con precisione anche le condizioni per le quali la cittadinanza può essere negata, preclusa o sospesa. Quello che ci preme sottolineare, in generale, è che, una volta riconosciuta la positività per la collettività del garantire l’integrazione completa e consapevole di chi sceglie di vivere stabilmente nel nostro Paese, è opportuno che lo Stato stesso intervenga attivamente per facilitare il realizzarsi di questo processo.
L’ispirazione della presente proposta di legge, per ciò che concerne i minori, si rifà alla Convenzione europea sulla nazionalità, del 6 novembre 1997, la quale prevede che lo Stato faciliti nel suo diritto interno l’acquisto della cittadinanza per le «persone nate sul territorio e ivi domiciliate legalmente ed abitualmente» [(articolo 6, paragrafo 4, lettera e)]. Si prevede in questo senso che il minore nato in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno legalmente soggiornante da almeno cinque anni e attualmente residente, possa diventare cittadino italiano, previa dichiarazione di un genitore da inserire «obbligatoriamente» nell’atto di nascita. L’obbligatorietà della dichiarazione introduce, per così dire, un onere a carico dello Stato a fare sì che il diniego sia consapevole o, da un altro punto di vista, a evitare che l’omissione dell’assenso avvenga per ignoranza della norma. È uno dei tanti meccanismi previsti dalla presente proposta di legge che testimoniano l’interesse dello Stato nel favorire e nel garantire l’instaurarsi del processo di integrazione. Se il genitore, poi, dovesse dissentire, al soggetto è comunque garantita la possibilità di diventare cittadino italiano richiedendolo entro due anni dal compimento della maggiore età. Attenzione particolare è prestata anche ai minori che, seppure non nati in Italia, vi risiedano legalmente ovvero compiano in Italia il loro percorso formativo. È infatti previsto che un minore diventi cittadino italiano, su istanza del genitore (o del soggetto stesso se compie la maggiore età durante gli studi), se ha completato un percorso scolastico o professionale nel nostro Paese.
Un’altra colonna portante della presente proposta di legge consiste nell’intento di superare l’attuale procedimento di concessione della cittadinanza, basato su condizioni esclusivamente quantitative, introducendo un meccanismo di attribuzione che, a fronte della riduzione del numero di anni necessari per ottenere la cittadinanza, richieda alcuni impegnativi requisiti che implichino la valutazione della qualità della presenza nel nostro Paese dello straniero e la sua volontà di intraprendere effettivamente con successo un percorso di integrazione che possa culminare con la concessione della cittadinanza. Sono previste, pertanto, la verifica della residenza attuale e della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero. Infine, è previsto un giuramento di osservanza della Costituzione e di rispetto dei suoi valori fondamentali. È importante sottolineare che, nella presente proposta di legge, la prestazione di tale giuramento non è un mero atto formale, ma è indispensabile al fine del perfezionamento della procedura di attribuzione della cittadinanza, tanto che, in caso di mancata e ingiustificata presenza alla cerimonia del giuramento, il provvedimento viene sospeso, mentre lo stesso procedimento addirittura decade nel caso di rifiuto a prestare il giuramento.
Si ritiene, in questo modo, di riuscire a compenetrare e ad armonizzare le esigenze, diverse ma intimamente legate, di sicurezza e di integrazione nel governo dei processi di immigrazione.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Nascita).
1. All’articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1 sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:
«b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è legalmente soggiornante in Italia, senza interruzioni, da almeno cinque anni e attualmente residente;
b-ter) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è nato in Italia e vi risiede legalmente, senza interruzioni, da almeno un anno»;
b) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
«2-bis. Nei casi di cui alle lettere b-bis) e b-ter) del comma 1 la cittadinanza si acquista a seguito di una dichiarazione obbligatoria di volontà in tale senso di un genitore da sottoscrivere contestualmente alla registrazione anagrafica e da inserire nell’atto di nascita. Entro un anno dal raggiungimento della maggiore età il soggetto può rinunciare, se in possesso di un’altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana.
2-ter. Qualora sia stato espresso esplicito rifiuto nella dichiarazione obbligatoria di volontà di cui al comma 2-bis, i soggetti di cui alle lettere b-bis) e b-ter) del comma 1 acquistano la cittadinanza, senza ulteriori condizioni, se ne fanno richiesta entro due anni dal raggiungimento della maggiore età».
Art. 2.
(Minori).
1. Il comma 2 dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dai seguenti:
«2. Lo straniero nato o entrato in Italia entro il quinto anno di età, che vi abbia risieduto legalmente fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino italiano a meno che non esprima esplicito rifiuto. Qualora la legislazione del Paese di origine non lo consenta, è richiesta al soggetto un’opzione.
2-bis. Il figlio minore di genitori stranieri acquista la cittadinanza italiana su istanza dei genitori o del soggetto esercente la potestà genitoriale secondo l’ordinamento del Paese di origine se ha completato un corso di istruzione primaria o secondaria di primo grado ovvero secondaria di secondo grado presso istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 10 marzo 2000, n. 62, ovvero un percorso di istruzione e formazione professionale idoneo al conseguimento di una qualifica professionale. Entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, il soggetto può rinunciare, se in possesso di un’altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana.
2-ter. Il soggetto di cui al comma 2-bis, alle medesime condizioni ivi indicate, diviene cittadino italiano al raggiungimento della maggiore età o comunque una volta completato il percorso scolastico o professionale a meno che non esprima esplicito rifiuto. Qualora la legislazione del Paese di origine non lo consenta è richiesta al soggetto un’opzione».
Art. 3.
(Matrimonio e adozione di maggiorenne).
1. L’articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:
«Art. 5. – 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana, quando, dopo il matrimonio, risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero, qualora, nel suddetto periodo, non sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi ovvero quando sia già in essere un precedente vincolo matrimoniale nel Paese di origine.
2. I termini di cui al comma 1 non sono vincolanti in presenza di figli nati o adottati dai coniugi.
3. Lo straniero può inviare al Ministro dell’interno entro trenta giorni dallo scioglimento, dall’annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero dalla separazione personale dei coniugi, integrazioni alla documentazione già presentata, idonee a dimostrare la sussistenza di un altro titolo per l’attribuzione o per la concessione della cittadinanza. In tale caso il termine per la conclusione del procedimento è esteso a trentasei mesi complessivi.
4. Lo straniero maggiorenne, adottato da cittadino italiano, acquista la cittadinanza italiana se risiede legalmente nel territorio della Repubblica, senza interruzioni, per almeno due anni successivamente all’adozione».
Art. 4.
(Attribuzione della cittadinanza).
1. Dopo l’articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall’articolo 3 della presente legge, è inserito il seguente:
«Art. 5-bis. – 1. Acquista la cittadinanza italiana, su propria istanza e alle condizioni di cui all’articolo 5-ter, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno:
a) lo straniero che da almeno cinque anni soggiorna legalmente nel territorio della Repubblica, senza interruzioni, e attualmente vi risiede e che è in possesso di un requisito reddituale non inferiore a quello richiesto per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi dell’articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come da ultimo sostituito dall’articolo 1 del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3;
b) il cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea che risiede legalmente da almeno tre anni nel territorio della Repubblica;
c) lo straniero regolarmente soggiornante in Italia da almeno tre anni a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato».
Art. 5.
(Verifica dell’integrazione linguistica e civica dello straniero).
1. Dopo l’articolo 5-bis della legge 5 febbraio 1992, n. 91, introdotto dall’articolo 4 della presente legge, è inserito il seguente:
«Art. 5-ter. – 1. L’acquisizione della cittadinanza italiana nell’ipotesi di cui all’articolo 5-bis, comma 1, lettera a), è condizionata alla verifica della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero nel territorio della Repubblica, riscontrata:
a) da una conoscenza della lingua italiana parlata equivalente al livello A2, di cui al quadro comune europeo di riferimento delle lingue, approvato dal Consiglio d’Europa;
b) dalla conoscenza soddisfacente della vita civile dell’Italia e della Costituzione italiana.
2. Lo straniero che risultasse inidoneo alla verifica di cui al comma 1 ha diritto a ripeterla senza limitazioni a condizione che siano passati almeno quattro mesi dalla comunicazione dell’esito della stessa. Il provvedimento di acquisizione della cittadinanza rimane pendente fino all’accertamento delle condizioni di cui alle lettere a) e b) del citato comma.
3. Il Governo individua e riconosce, anche in collaborazione con le regioni e con gli enti locali, le iniziative e le attività finalizzate a rendere edotto lo straniero circa le modalità e le possibilità per l’acquisizione della conoscenza della lingua, della cultura e della Costituzione italiane nonché a sostenere il processo di integrazione linguistica e sociale secondo modalità stabilite ai sensi dell’articolo 25.
4. Secondo modalità stabilite ai sensi dell’articolo 25, sono determinati i titoli idonei ad attestare il possesso del livello della conoscenza della lingua italiana di cui al comma 1 del presente articolo, nonché le attività il cui svolgimento costituisce titolo equipollente. Con le medesime modalità sono determinati la documentazione da allegare all’istanza, ai fini dell’attestazione dei requisiti di cui al citato comma 1, le modalità del colloquio diretto ad accertare la sussistenza dei requisiti medesimi, nonché i casi straordinari di giustificata esenzione dal possesso dei requisiti di cui al medesimo comma 1.
5. L’acquisizione della cittadinanza italiana impegna il nuovo cittadino al rispetto, all’adesione e alla promozione dei valori di libertà, di eguaglianza e di democrazia posti a fondamento della Repubblica italiana».
Art. 6.
(Motivi preclusivi dell’attribuzione della cittadinanza).
1. L’articolo 6 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:
«Art. 6 – 1. Precludono l’attribuzione della cittadinanza ai sensi degli articoli 4, comma 2-bis, 5 e 5-bis:
a) la condanna per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III, del codice penale;
b) la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge prevede una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione;
c) la condanna per un reato non politico a una pena detentiva superiore a un anno da parte di un’autorità giudiziaria straniera, quando la sentenza è stata riconosciuta in Italia;
d) la dichiarazione di delinquenza abituale;
e) la condanna per uno dei crimini o delle violazioni previsti dallo Statuto del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, adottato a New York il 25 maggio 1993, o dallo Statuto del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, firmato a New York l’8 novembre 1994, o dallo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, adottato a Roma il 17 luglio 1998, reso esecutivo dalla legge 12 luglio 1999, n. 232.
2. L’attribuzione della cittadinanza non è preclusa quando l’istanza riguarda un minore condannato a una pena detentiva non superiore ai due anni.
3. Il riconoscimento della sentenza straniera, anche ai soli fini ed effetti di cui al comma 1, lettere c) ed e), del presente articolo è richiesto dal procuratore generale del distretto dove ha sede l’ufficio dello stato civile in cui è iscritto o trascritto il matrimonio, nei casi di cui all’articolo 5, ovvero dal procuratore generale del distretto nel quale è compreso il comune di residenza dell’interessato, nei casi di cui agli articoli 4, comma 2-bis, e 5-bis.
4. La riabilitazione o l’estinzione del reato fanno cessare gli effetti preclusivi della condanna.
5. L’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, ovvero l’inizio dell’azione penale per uno dei reati indicati nelle lettere a) e b) del comma 1, ovvero l’apertura del procedimento di riconoscimento della sentenza straniera indicata nella lettera c) del citato comma 1, ovvero i provvedimenti che dispongono l’arresto, la cattura, il trasferimento o il rinvio a giudizio oppure la sentenza di condanna anche non definitiva pronunciati ai sensi dei rispettivi Statuti dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia o dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda o dalla Corte penale internazionale determinano la sospensione del procedimento per l’attribuzione della cittadinanza. Il procedimento è sospeso fino alla comunicazione della sentenza definitiva o del decreto di archiviazione ovvero del provvedimento di revoca della misura cautelare perché illegittimamente disposta. Del provvedimento di sospensione è data comunicazione all’interessato».
Art. 7.
(Decreto di attribuzione della cittadinanza).
1. Il comma 1 dell’articolo 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dai seguenti:
«1. Ai sensi dell’articolo 5, la cittadinanza si acquista con decreto del Ministro dell’interno, a istanza dell’interessato.
1-bis. Le istanze proposte ai sensi degli articoli 5, 5-bis e 9 si presentano al Prefetto competente per territorio in relazione alla residenza dell’istante o alla competente autorità consolare».
Art. 8.
(Procedura di reiezione delle istanze).
1. L’articolo 8 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:
«Art. 8. – 1. Con decreto motivato, il Ministro dell’interno respinge l’istanza presentata ai sensi dell’articolo 4, comma 2-bis, dell’articolo 5-bis, comma 1, e dell’articolo 7, comma 1, ove sussistano le cause ostative indicate all’articolo 6».
Art. 9.
(Reiezione per motivi di sicurezza della Repubblica).
1. Dopo l’articolo 8 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituito dall’articolo 8 della presente legge, è inserito il seguente:
«Art. 8-bis. – 1. Qualora sussistano motivi tali da far ritenere il richiedente pericoloso per la sicurezza della Repubblica, il Ministro dell’interno, su parere conforme del Consiglio di Stato, respinge con decreto motivato l’istanza presentata ai sensi dell’articolo 7, comma 1-bis, dandone comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri.
2. Qualora risulti necessario acquisire ulteriori informazioni in ordine alla pericolosità del richiedente per la sicurezza della Repubblica, il Ministro dell’interno sospende il procedimento per l’attribuzione della cittadinanza per un periodo massimo di tre anni, informandone il Presidente del Consiglio dei ministri.
3. L’istanza respinta ai sensi del presente articolo può essere riproposta decorsi due anni dalla data del decreto di reiezione».
Art. 10.
(Concessione della cittadinanza).
1. All’articolo 9, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1:
1) la lettera b) è sostituita dalla seguente:
«b) al minore straniero o apolide che ha frequentato integralmente un ciclo scolastico in Italia, al raggiungimento della maggiore età»;
2) la lettera d) è abrogata;
3) alla lettera e) la parola: «cinque» è sostituita dalla seguente: «tre»;
4) la lettera f) è abrogata;
b) è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«2-bis. Ai fini della concessione della cittadinanza ai sensi dei commi 1 e 2, l’interessato non è tenuto a dimostrare alcun requisito di reddito».
Art. 11.
(Giuramento).
1. L’articolo 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:
«Art. 10. – 1. Il decreto di attribuzione o di concessione della cittadinanza acquista efficacia dal giorno successivo alla sua emanazione.
2. Il nuovo cittadino viene convocato per la cerimonia di giuramento entro un anno dalla data di emanazione del decreto di cui al comma 1. Il rifiuto a prestare giuramento o l’ingiustificata assenza alla cerimonia è motivo per la revoca del provvedimento di attribuzione o di concessione della cittadinanza.
3. Il nuovo cittadino presta giuramento pronunciando la seguente formula: "Giuro di osservare la Costituzione della Repubblica italiana, di rispettarne i princìpi fondamentali e di riconoscere i diritti e i doveri dei cittadini e la pari dignità sociale di tutte le persone".
4. In occasione del giuramento è consegnata al nuovo cittadino copia della Costituzione».
Art. 12.
(Doppia cittadinanza).
1. Dopo l’articolo 11 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è inserito il seguente:
«Art. 11-bis. – 1. Ai fini dell’acquisizione della cittadinanza non è richiesta la rinuncia alla cittadinanza straniera».
Art. 13.
(Abolizione dell’equiparazione tra rifugiati e apolidi).
1. Il comma 2 dell’articolo 16 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è abrogato.
Art. 14.
(Casi particolari di riacquisto o acquisto della cittadinanza).
1. All’articolo 17 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: «entro due anni dall’entrata in vigore della presente legge» sono soppresse;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Possono altresì riacquistare o acquistare la cittadinanza:
a) la donna che, già cittadina italiana per nascita, ha perduto la cittadinanza per effetto del matrimonio con cittadino straniero, quando il matrimonio è stato contratto prima del 1o gennaio 1948;
b) il figlio della donna di cui alla lettera a), ancorché nato anteriormente al 1o gennaio 1948, anche qualora la madre sia deceduta;
c) i soggetti, ancorché nati anteriormente al 1o gennaio 1948, figli di padri o di madri cittadini»;
c) è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«2-bis. Il diritto al riacquisto o all’acquisto della cittadinanza ai sensi dei commi 1 e 2 è esercitato dagli interessati mediante presentazione di una dichiarazione resa al sindaco del comune di residenza dell’istante, oppure alla competente autorità consolare previa produzione di idonea documentazione ai sensi di quanto disposto con decreto del Ministro dell’interno emanato di concerto con il Ministro degli affari esteri».
Art. 15.
(Prestazione del giuramento).
1. All’articolo 23 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: «e la prestazione del giuramento» sono soppresse;
b) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
«1-bis. La prestazione del giuramento di cui all’articolo 10 è resa dinanzi al sindaco del comune di residenza dell’istante, ovvero, in caso di residenza all’estero, dinanzi all’autorità diplomatica o consolare del luogo di residenza, secondo modalità stabilite ai sensi dell’articolo 25.
1-ter. La prefettura-ufficio territoriale del Governo provvede a convocare l’interessato per il giuramento secondo modalità che garantiscono il rispetto del termine di cui all’articolo 10, comma 1».
Art. 16.
(Modalità di computo del periodo di residenza legale).
1. Dopo l’articolo 23 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dall’articolo 15 della presente legge, è inserito il seguente:
«Art. 23-bis. – 1. Ai fini della presente legge, per il computo del periodo di residenza legale, se prevista, si calcola come termine iniziale la data di presentazione della relativa dichiarazione anagrafica resa dal soggetto interessato al competente ufficio comunale, qualora ad essa consegua la registrazione nell’anagrafe della popolazione residente».
Art. 17.
(Disciplina di attuazione).
1. Il Governo provvede, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, a riordinare e ad accorpare in un unico regolamento le disposizioni di natura regolamentare vigenti in materia di cittadinanza.
2. Il regolamento di cui al comma 1 del presente articolo è emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, con le modalità di cui all’articolo 25 della legge 5 febbraio 1992, n. 91.
3. Il regolamento di cui al comma 1 reca le disposizioni di attuazione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, disciplina i procedimenti amministrativi per la concessione e per l’attribuzione della cittadinanza e stabilisce, per la conclusione dei medesimi procedimenti, un termine improrogabile, non superiore a ventiquattro mesi dalla data di presentazione dell’istanza, fermo restando quanto previsto dall’articolo 5, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come sostituto dall’articolo 3 della presente legge.
Art. 18.
(Disposizioni transitorie).
1. Coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge hanno già maturato i requisiti di cui all’articolo 1, comma 1, lettere b-bis) e b-ter), e all’articolo 4, comma 2-bis, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, inseriti, rispettivamente, dagli articoli 1 e 2 della presente legge, acquistano la cittadinanza italiana se effettuano una dichiarazione in tale senso entro tre anni dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 17 della presente legge.