"Il divieto viola uguaglianza e tutela della famiglia". Giudice di Trento chiede l’intervento della Corte Costituzionale
Roma – 23 giugno 2010 – Dopo l’aggravante e il reato di clandestinità, un altro pezzo del pacchetto sicurezza finisce la vaglio della Consulta. Questa dovrà decidere se il divieto di matrimonio per i clandestini è in linea con la Costituzione e, in caso contrario, farlo sparire.
Lo scorso agosto la legge sulla sicurezza ha modificato l’articolo 116 del codice civile, che detta le regole per il matrimonio dei cittadini stranieri in Italia. Questi, oltre a un nulla osta rilasciato dalle autorità del suo Paese, devono adesso presentare anche "un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano".
Senza permesso di soggiorno, quindi, non ci si può sposare e proprio questo ostacolo ha finora mandato a monte, tra le altre, le nozze di una cittadina cilena e del suo compagno trentino. La donna è in Italia irregolarmente, e lo scorso marzo le è stato contestato anche il reato di clandestinità con conseguente espulsione, ma lei ha presentato ricorso al giudice di pace di Trento, Andreina Deretta.
Deretta ha deciso di non esprimersi sul ricorso, sospendendo il processo e chiedendo l’intervento della Consulta. Vietando alla cilena di sposarsi, un passo che le permetterebbe di rimanere regolarmente in Italia, si violerebbe infatti anche diversi principi sanciti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali, come l’uguaglianza e la tutela della famiglia .
"Il diritto di contrarre matrimonio – scrive ad esempio il giudice – è diritto fondamentale dell’individuo… e limitazioni e compressioni di questo diritto possono essere prevista dalla legge solo a salvaguardia dell’unità familiare e dell’ordine pubblico". "Il matrimonio con clandestino o tra clandestini, – aggiunge – non è in astratto contrario all’ordine pubblico, ma risponde alla funzione di unità familiare tutelato dalla Costituzione".
Scarica il testo dell’ordinanza (dal sito dell’Asgi)
Elvio Pasca