Roma – 18 gennaio 2013 – Il reato di clandestinità per la Procura di Milano? Si concretizza in una media di venti notizie al giorno, con punte di trenta e mai meno di quindici. E una tale mole di lavoro porta al “paradossale (e ingiusto) risultato di tale situazione che la possibilità per un imputato di immigrazione clandestina di venire concretamente tratto a giudizio resta attualmente affidata al caso”.
È l’ allarme lanciato dalla Sezione definizione affari semplici (Sdas) della Procura. Che lo scorso dicembre, in una circolare firmato dal sostituto Riccardo Targetti e citata oggi da Il Giornale, ha suggerito alle forze di Polizia, “pur nell'ovvio rispetto dell'autonomia istituzionale” , di andarci piano con le denunce, procedendo solo quando è strettamente necessario e tenendo ben presenti i casi in cui il reato non sussiste.
Lo Sdas dovrebbe smaltire rapidamente le denunce per reati di competenza del giudice di pace e del giudice monocratico, cose, appunto, “semplici”. Ma il reato di immigrazione clandestina, introdotto nel 2009 dal governo Berlusconi, ha complicato molto la situazione: i fascicoli si accumulano e “né la Procura della Repubblica né l'ufficio del giudice di pace sono in grado di definire” i procedimenti.
Quei fascicoli vano infatti studiati, poi ci sono la citazione in giudizio da tradurre in una lingua comprensibile per l’imputato e la notifica da parte dell’ufficiale giudiziario. “Tutte fasi – spiega la Procura- che hanno rilevanti costi in termini materiali, temporali e persino pecuniari”. Intanto l’arretrato cresce, e i fascicoli “per i quali si sono spese pure energie materiali/temporali/pecuniarie restano a lungo in attesa del dibattimento, il tutto in un trend di costante crescita”.