Roma – 29 gennaio 2013 – Una stangata da quasi millecinquecento euro per chi licenzia una colf, una badante o una babysitter. È un regalinonascosto tra le pieghe della riforma del Lavoro, che dal primo gennaio scorso anche i datori di lavoro domestico sono costretti a scartare.
Tutto nasce da uno dei canali di finanziamento dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego, la nuova forma di sostegno al reddito dei disoccupati. La riforma (Legge 92/2012 articolo 2 comma 31) prevede che chi licenzia un lavoratore che aveva un contratto a tempo indeterminato, paghi all'Inps anche una “somma pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni”.
Tradotto in soldoni, fanno 483,8 euro per ogni anno di contratto, fino al massimo di 1451,4 euro. E l’importo riguarda i lavoratori privati di ogni settore, compreso quello domestico, indipendentemente dall’orario di lavoro: paradossalmente, chi licenzia una colf impiegata per quattro ore a settimana, paga lo stesso contributo di chi interrompe il rapporto di lavoro con una badante convivente a tempo pieno.
L’esborso, dice ancora la legge, scatta ogni volta che i lavoratori hanno “perduto involontariamente la propria occupazione”. “Non si paga, quindi, in caso di dimissioni o di risoluzione consensuale del rapporto, ma è comunque dovuto se, per esempio, muore la persona assistita dalla badante” spiega a Stranieriinitalia.it Teresa Benvenuto, segretaria nazionale dell’Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico.
È stata proprio l’Assindatcolf a sollevare il caso dopo un’attenta analisi della riforma e a fare i conti per stimare l'ammontare del salasso. “C’è sdegno e rabbia tra i datori di lavoro, si sentono penalizzati per aver mantenuto finora un rapporto in regola, e che ora sono tentati di interromperlo” racconta la segretaria nazionale.
Anche se l’associazione di categoria non può dirlo, non è difficile immaginare che la scappatoia valutata in questi giorni da diverse famiglie che temono la nuova gabella è indurre le lavoratrici alle dimissioni, per poi continuare il rapporto in nero. In un settore dove si stima addirittura un cinquanta per cento di sommerso, è un salto che qualcuno è disposto a fare con una certa leggerezza.
“Applicato al lavoro domestico, questo contributo per il licenziamento non è nell’interesse di nessuno, anzi è nel disinteresse di tutti. Favorisce l’irregolarità. Crediamo che si tratti di una svista del legislatore, che però può costare carissima alle famiglie. Va cancellata” incalza Benvenuto. Finora, però, non ha avuto risposte dal governo. A poche settimane dalle elezioni, si riuscirà a intervenire su questa clamorosa “svista” della riforma del Lavoro?
Elvio Pasca