Roma, 21 dicembre 2021 – L’agricoltura come simbolo di integrazione sociale, culturale ed economica. E’ questo l’obiettivo di “Coltiviamo l’integrazione”, un progetto finanziato dal Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione del Ministero dell’Interno. Iniziato nel 2018 e concluso nel 2021, lo scopo è quello di riuscire a fornire degli strumenti e delle competenze utili a costruire il proprio futuro. E Esraa, Lot o Abdì ne sono la dimostrazione.
Coltiviamo l’integrazione, un progetto di futuro
Esraa, per esempio, ha 30 anni, è madre di tre bambini e viene dall’esito. A Milano ha iniziato a prendersi cura delle piante in un orto costruito tra i palazzi. Lot, invece, ha lasciato la Nigeria per colpa della crisi, e oggi si alza tutte le mattine alle 7 per andare a coltivare pomodori e okra in un campo fuori Perugia. Abdì, poi, un uomo di 58 anni, è scappato dalla guerra in Somalia con la sua numerosa famiglia. Lì insegnava il corano ai bambini e lavorava la terra, una passione che si è portato a Ragusa. Ora, infatti, fa il contadino, e il suo sogno è avere un giorno un campo tutto suo per poter coltivare melanzane, fave, cipolle, aglio, lattuga e datteri.
Coltiviamo l’integrazione aiuta loro, e tanti altri, a costruirsi un futuro in Italia. Le associazioni lavorano a Perugia, Milano e Ragusa, e hanno anche previsto laboratori strutturati sia per insegnare la lingua italiana che per il sapere tecnico e pratico relativo al campo dell’agricoltura. Il tutto finanziato non solo dal Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione del Ministero dell’Interno, ma anche da Tamat NGO, in collaborazione con Associazione i Tetti colorati Onlus di Ragusa, Fondazione ISMU, Associazione Robert F. Kennedy Human Rights Italia e Cardet. Tra l’altro, dal progetto è nato anche un documentario grazie agli scatti di Stefano Schirato. Si raccontano così i ritratti dei beneficiari, delle loro storie, i prodotti usati, i luoghi.
Oltre 50 persone hanno preso parte al progetto
“Negli anni del progetto Coltiviamo l’integrazione abbiamo sostenuto oltre 50 persone”, ha spiegato il coordinatore Domenico Lizzi di Tamat. “La maggior parte di loro erano richiedenti asilo, dopo aver seguito i nostri laboratori molti hanno trovato lavoro nel mondo dell’agricoltura. Altri hanno seguito altre strade, ma con un bagaglio di conoscenza della lingua e di competenze in più. La forza del nostro progetto non è solo quella di favorire un’inclusione economica. Ma soprattutto mettere i migranti in relazione con la comunità locale per realizzare davvero un’inclusione sociale. La diversità crea un valore aggiunto e dall’incontro di culture differenti nascono nuove opportunità sia per i beneficiari sia per i volontari”. Come simbolo del progetto si può prendere il vasetto di okra in agrodolce che alcuni migranti hanno prodotto nel laboratorio di Perugia. Questo unisce un ortaggio africano alla tradizione dei sottoli italiana, creando una ricetta mai sperimentata prima.
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