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Consiglieri aggiunti a Roma. Di Francia: “Servono ancora?”

Parla il delegato del sindaco Marino all’immigrazione. “Prima di andare a nuove elezioni istituiamo una commissione speciale. È necessario un confronto aperto a tutti sulla rappresentanza dei cittadini stranieri nell’amministrazione della Capitale”

Roma – 14 ottobre 2013 – “Il futuro della rappresentanza degli immigrati non può essere affidato a una delibera preparata dai consiglieri aggiunti in carica. Serve un dibattito molto più ampio, che coinvolga tutti i gruppi in Campidoglio, che ascolti le comunità e le associazioni. Roma deve insomma interrogarsi se i consiglieri aggiunti sono ancora il modo migliore per dar voce ai cittadini stranieri”.

Silvio Di Francia è stato chiamato nello staff del sindaco Ignazio Marino ad occuparsi di diritti civili, cittadinanza e discriminazioni. Sul suo tavolo, tra i dossier urgenti, ha trovato anche quello sui consiglieri aggiunti, rappresentanti (senza di diritto di voto) degli immigrati in consiglio comunale.

Il nuovo Statuto di Roma Capitale li conferma, prevedendo però anche una revisione del regolamento che li riguarda e nuove elezioni entro la fine di quest’anno. Fin qui la teoria. Pochi, infatti, scommettono che questa scadenza verrà rispettata, perché del nuovo regolamento non c’è ancora traccia. Intanto, intervistato da Stranieriinitalia.it, Di Francia rilancia: “Sicuri che, così come sono stati concepiti, i consiglieri aggiunti servano ancora?”

Sulla materia Di Francia ha molto da dire, anche perché fu tra i padri della delibera che nel  2004 portò per la prima volta all’elezione dei rappresentanti degli immigrati. “Fu uno shock culturale necessario, bisognava far passare il principio liberale del no taxation without representation, era inaccettabile che chi viveva e lavorava qui, pagava le tasse, usufruiva dei servizi, non avesse voce nell’amministrare Roma. Era un modo di far pressione anche sulla legislazione nazionale”.

Silvio Di Francia
E ora?
“Ora vedo che il dibattito politico è andato molto avanti sul tema della cittadinanza, che inevitabilmente si porta dietro anche la rappresentanza politica. Il Partito Democratico, che è il primo partito della maggioranza, vuole fortemente nuove regole per diventare italiani e questo potrebbe essere anche un punto del programma della nuova Forza Italia. L’immigrazione è cambiata, ci sono le seconde generazioni, ci sono richiedenti asilo e rifugiati, la revisione della figura dei consiglieri aggiunti va inserita in questo dibattito, molto più ampio”.

Nell’attesa di grandi riforme, che chiamano in causa la politica nazionale, Roma non potrebbe eleggere comunque i suoi consiglieri aggiunti?
“Organizzare la macchina delle elezioni non è un’impresa facile, soprattutto se si vuole assicurare la più ampia partecipazione, che nelle passate consultazioni non c’è stata, e se si vuole assicurare parità di competizione,senza dare ad esempio un vantaggio ai consiglieri uscenti nel caso si volessero ricandidare. Per questo chiedo l’istituzione di una commissione speciale che permetta una riflessione più ampia su come dare rappresentanza agli immigrati”.

Non si rischia di allungare troppo i tempi, arrivando poi alla necessità di un’ennesima proroga degli attuali consiglieri, in carica ormai da sette anni?
“Il problema va risolto al più presto, la commissione speciale dovrebbe lavorare celermente e decidere. Manteniamo i consiglieri aggiunti? E con quali regole? Oppure sono un’esperienza utile ma superata e quindi guardiamo a nuove forme di rappresentanza? Se poi per fare questo servirà una proroga di un paio di mesi dei consiglieri attuali non ci vedo nulla di scandaloso. L’importante è che intanto ci sia un dibattito aperto a tutti, alla luce del sole e in un luogo formale.

Nella sua posizione c’è da leggere anche un bilancio negativo sull’operato dei consiglieri aggiunti a Roma in questi anni?
No, perché non cado nell’equivoco, ingenuo o malizioso, che pretende che i consiglieri aggiunti abbiano più virtù, o più peccati, dei loro colleghi dell’assemblea capitolina. C’è chi ha pensato alle esigenze di tutti gli immigrati e chi invece si è concentrato su quello della comunità d’origine che lo ha eletto. Così, tra gli italiani, c’è chi pensa all’interesse nazionale  e chi risponde invece solo alle sollecitazioni del proprio gruppo elettorale.

Elvio Pasca
 

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