Roma – 29 marzo 2012 – È stato una “catena di omissioni (failures)”, da parte dell’Italia e di Malta, ma anche della Nato e degli Stati che avevano navi nella zona, che ha provocato il mancato soccorso al barcone di 72 migranti in fuga della Libia, 63 dei quali sono morti nelle due settimane in cui l’imbarcazione e’ rimasta alla deriva nel Mediterraneo. E’ quanto stabilisce un rapporto del Consiglio d’Europa sulla tragedia del barcone partito da Tripoli il 26 marzo 2011, poco dopo l’avvio dei raid della Nato.
Nel rapporto si legge che i Centri di soccorso in mare dell’Italia e di Malta “erano informati del fatto che l’imbarcazione era in difficolta’, ma nessuno dei due si e’ preso la responsabilità di iniziare una operazione di search and rescue”. “Essendo l’Italia – prosegue il rapporto presentato oggi – la prima ad essere stata informata dell’emergenza, aveva una responsabilità maggiore nel garantire la sicurezza dell’imbarcazione”.
La bozza conclusiva del rapporto – dal titolo “Vite perse nel Mediterraneo: chi e’ responsabile” e’ stata presentata dall’olandese Tineke Strik, dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, al termine di un’inchiesta di nove mese avviata per richiesta di 34 membri dell’Assemblea dopo che la tragedia di questo gommone è stata, per la prima volta, denunciata dal giornale britannico The Guardian.
Il rapporto poi rivolge anche una critica politica alla “Nato ed ai paesi coinvolti militarmente in Libia per non essersi preparati in modo adeguato all’esodo di profughi e rifugiati”. “Queste persone non dovevano morire – afferma riferendosi ai 63 migranti, in maggioranza provenienti dall’Eritrea, morti nelle due settimane in cui il gommone e’ rimasto alla deriva prima di ritornare sulle coste libiche con solo nove superstiti – se i diversi attori fossero intervenuti o fossero intervenuti in modo corretto, si sarebbe potuto metterli in salvo in molte occasioni. Molto si deve ancora fare per evitare che persone muoiano nel disperato tentativo di raggiungere l’Europa”.
“Almeno 1500 persone hanno perso la vita tentando di attraversare il Mediterraneo nel 2011” si legge infatti nel documento che sottolinea che questo caso appare differente “perchè appare che le richieste di soccorso siano state ignorate da pescherecci, navi militari e da un elicottero militare”.
La richiesta di soccorso era stata lanciata, dopo 18 ore in mare senza benzina, cibo o acqua, dal ‘capitano’ del gommone telefonando ad un prete eritreo che vive in Italia – ricostruisce ancora il rapporto sulla base delle testimonianze dei superstiti – “il Maritime Rescue Coordination Center italiano, immediatamente informato, inviò una serie di messaggi verso le navi della zona per cercare l’imbarcazione in difficoltà”.
“E’ stato da questo momento che tutto e’ andato nel modo sbagliato”, si legge ancora nel rapporto che sottolinea che non solo Malta e l’Italia non hanno reagito, ma anche “la Nato non ha risposto alla richiesta di soccorso anche se vi erano navi sotto il suo controllo nelle vicinanze dalla zona da dove era stata lanciata la richiesta”.
In particolare una nave militare spagnola si trovava ad appena 11 miglia, anche se questa distanza viene contestata dalla Spagna che viene chiamata in causa, come gli altri stati che avevano proprie navi nella zona, dal rapporto che fa anche riferimento al mancato intervento di “due non identificate navi commerciali che si trovavano nella zona”.
A questo proposito il rapporto esorta i paesi membri ha “riempire il vuoto di responsabilita’” lasciato da “uno stato che non vuole o non puo’ esercitare la sua responsabilita’ di operazioni di soccorso”, come appunto e’ stato il caso della Libia.
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Lives lost in the Mediterranean Sea: who is responsible? (bozza in inglese)