Bocciata la detenzione per chi non obbedisce al foglio di via. Contrasta con la direttiva sui rimpatri
Roma – 28 aprile 2011 – L’Italia non può incarcerare i clandestini solo perché non riesce a rimpatriarli.
Questo il succo dell’ennesima bocciatura europea sulle politiche dell’immigrazione nostrane. Stavolta però a parlare non è un organo politico, come la Commissione, ma è la Corte di Giustizia dell’Ue. Quello che dice avrà quindi effetto anche nei tribunali italiani, chiamati a giudicare gli immigrati irregolari arrestati dalla Polizia.
È arrivata oggi la sentenza sul caso di Hassen El Dridi, algerino condannato a un anno di carcere dal tribunale di Trento per non essersi allontanato dall’Italia dopo un ordine di espulsione, come previsto dalla legge sulla sicurezza voluta due anni fa dal governo. Durante il processo d’appello, i giudici italiani hanno chiesto alla Corte di Giustizia Ue se questo trattamento è in linea con le regole europee, e in particolare con la direttiva sui rimpatri.
La direttiva prevede che i clandestini vanno innanzitutto invitati ad andarsene, mentre espulsione coatta, trattenimenti nei Cie e reclusione dovrebbero scattare solo in casi eccezionali. La direttiva non è stata ancora recepita dal governo italiano, ma i termini sono scaduti lo scorso dicembre e quindi, come hanno già fatto notare diversi giudici, procure e penalisti, può essere già automaticamente applicata in Italia.
La Corte di Giustizia spiega che “la procedura di allontanamento italiana differisce notevolmente da quella stabilita dalla direttiva”. E gli stati membri “devono comunque fare in modo che la propria legislazione rispetti il diritto dell’Unione”. Pertanto, “non possono applicare una normativa, sia pure di diritto penale, tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva e da privare quest’ultima del suo effetto utile”.
In particolare, “la Corte considera che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo, una pena detentiva”, come quella prevista dalla normativa italiana, “solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionale […] permane in maniera irregolare in detto territorio”.
“Una tale pena detentiva – notano i giudici – segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva”. Questo è “l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare nel rispetto dei loro diritti fondamentali”, ma a quanto pare le scelte del governo italiano vanno in un’altra direzione.
Scarica
Il testo della sentenza della Corte di Giustizia Ue
Elvio Pasca