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Crescono gli immigrati donatori di sangue, sono 50mila

Rappresentano il 4% dei donatori totali Roma, 21 gennaio 2010 – Crescono in Italia i donatori di sangue immigrati. "Ormai sono 40-50 mila, su un milione e ottocentomila in totale, dunque circa il 3-4% dei donatori", ha spiegato all’ADNKRONOS SALUTE Aldo Ozino Caligaris, presidente Fidas nazionale, che riunisce 68 associazioni sul territorio e, insieme ad Avis, Fratres e Croce Rossa, gestisce la raccolta sangue nella Penisola.

"Il fenomeno e’ decisamente in espansione – gli fa eco il presidente di Avis nazionale, Vincenzo Saturni – e potenzialmente in ulteriore crescita, visto che riguarda soprattutto fasce giovani di nuovi cittadini". "E’ bene ricordare – sottolinea Caligaris – che la donazione in Italia e’ sempre libera, volontaria e informata, e deve essere tale anche nel caso dei cittadini immigrati. Non abbiamo ancora dati precisi, ma l’aumento degli stranieri che decidono di diventare donatori e’ stato notevole in questi anni – prosegue – tanto che per la prima volta stiamo affrontando il tema con un’indagine di verifica sull’effettiva presenza dei donatori non italiani nel 2009".

Insomma, i dati sono in arrivo. Ma secondo gli esperti si tratta comunque di un numero "sempre maggiore", specie in regioni come il Lazio, "dove la comunita’ cingalese ha iniziato a donare ai tempi dello tsunami e poi ha continuato". La presenza di donatori non italiani e’ forte anche in "Piemonte, Veneto e Lombardia, Toscana e Liguria, la’ dove c’e’ un maggior numero di nuovi cittadini", testimonia Saturni. Ma quali sono le ‘regole’ per dare il proprio sangue se si viene da altri Paesi? "Si tratta di norme improntate alla trasparenza, alla tracciabilita’ del sangue e alla sicurezza di donatori e pazienti – sottolinea il presidente Avis – I donatori devono essere cittadini regolari, residenti da almeno due anni in Italia, a testimonianza di un certo grado di inserimento nella societa’ civile, e devono parlare italiano".

Per chi e’ originario di zone malariche c’e’ un periodo di inibizione alla donazione, per evitare rischi legati alla possibile esposizione. "Un po’ come accade per i viaggiatori che si recano in zone a rischio di contagio", prosegue Saturni. Inoltre i clandestini non possono donare, "non per motivazioni punitive ma per garantire la tracciabilita’ della donazione e la sorveglianza: insomma, si deve poter risalire al donatore", sottolineano i presidenti Avis e Fidas. E se i nuovi cittadini si dimostrano in molti casi sensibili al problema, per favorire la presenza dei donatori immigrati e consentire una scelta davvero libera e informata si moltiplicano i progetti della associazioni di donatori per migliorare ulteriormente la disponibilita’ di sangue, anche attraverso la mediazione culturale.

A Vicenza, ad esempio, sta per partire un programma che punta sull’approccio linguistico per consentire una piena integrazione degli aspiranti donatori. "Si tratta di un progetto regionale – spiega Giuseppe Munaretto, presidente della Fidas Vicenza – che sara’ sperimentato a partire dalla nostra citta’ nel corso del 2010. Si prevede una doppia corsia per i donatori dove, con l’aiuto dei mediatori culturali, spieghiamo le caratteristiche della donazione ai cittadini immigrati, e aspettiamo che gli stessi mediatori ci invitino nelle loro comunita’ per illustrare caratteristiche e modi per donare il sangue".

Spesso occorre aiutare gli aspiranti donatori a comprendere alcuni elementi chiave della donazione, "come ad esempio la riservatezza del colloqui col medico", dice Caligaris. E non e’ sempre solo una questione di lingua. "A volte e’ molto piu’ utile avvicinarsi alla cultura di un popolo", evidenzia Saturni. Quanto alla ‘generosita” dei diversi gruppi etnici presenti sul nostro territorio, il presidente di Fidas sottolinea, oltre alla comunita’ cingalese, i nuovi cittadini di origine sudamericana, "specie le donne che sono disponibilissime". Ma anche i giovani romeni e i filippini, "gli egiziani e i marocchini, molto presenti in particolare a Torino – conclude Saturni – Si fa piu’ fatica, invece, nel raggiungere le comunita’ di immigrati cinesi e indiani".

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