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Crescono razzismo e xenofobia in Italia. È tempo di contrastare odio e intolleranza

In Italia oggi si riscontra un razzismo diffuso e una discriminazione istituzionale largamente accettata. Nel suo Rapporto 2017-2018 sulla situazione dei diritti umani di 159 Stati del mondo, Amnesty International scatta la foto di un’Italia “intrisa di ostilità, razzismo, xenofobia, rifiuto dell’altro, paura ingiustificata verso tutto ciò che è diverso da noi: non solo migranti, ma rom, donne, poveri (daspo urbani contro i barboni)”.

Il clima d’odio che si respira nel Paese, soprattutto in questo periodo della campagna elettorale, e dopo la tentata strage di Macerata, non è da sottovalutare.  Aly Baba Faye, Sociologo e attivista per i diritti umani e contro il razzismo, afferma che il clima è pesante, e ribadisce quanto sia importante non abbassare la guardia contro il razzismo. Ecco l’Intervista esclusiva che Faye ha concesso a stranieriinitalia.it.

Quale lettura da ai fatti di Macerata?
Mi consenta, prima di tutto, di ribadire la mia compassione per la morte tragica di Pamela Mastropietro e la mia solidarietà ai suoi genitori che hanno dimostrato un grande senso di dignità in un momento di grande dolore. I fatti di Macerata sono senz’altro di una gravità enorme per tutti gli elementi che entrano in gioco in questo dramma.

Forse sarebbe il caso di riflettere a 360° sui contorni di questa vicenda che rinvia a tematiche di portata più generale che investono la nostra società. Il problema della droga, lo sfruttamento del corpo femminile, e la violenza criminale. Mi domando se non urge tematizzare una discussione seria sul proibizionismo. Oggi la droga è un business enorme fatto di “sangue e soldi”. Forse, il proibizionismo non basta. Per quanto riguarda lo sfruttamento del corpo della donna, occorre fare di più per prevenire stupri e per contrastare la tratta delle donne. Ma serve anche intervenire per un codice etico del marketing che mercifica il corpo femminile. Davvero servono azioni più efficaci a cominciare dall’educazione e dalla rivisitazione dei modelli culturali.

Il tema della criminalità straniera che va affrontato senza infingimenti e semplificazioni che sfociano nel razzismo e nella xenofobia. La responsabilità penale è e deve restare personale, non si può pagare per colpe che non si ha semplicemente perché un colpevole ha il tuo stesso colore della pelle. In ogni caso, c’è il tema della violenza in una società sempre più aggressiva che va affrontato. Insomma, servono nella nostra contemporaneità strumenti adeguati. 

Poi c’è il rovescio in questa tragedia di Macerata che riguarda Luca Traini con la sua “retata contro i negri”. Un fatto gravissimo per il pretesto ideologico in un contesto sociale nel quale si esplicita la drammaticità di una “questione razziale” sempre più perniciosa nell’Italia di oggi ma che viene sottovalutata.

Ecco, ha parlato di “retata contro i negri”. Ma qual è l’aspetto che ritiene un aggravante ulteriore rispetto ad un razzismo che comunque c’era sempre stato?
Ha ragione! Purtroppo, non è la prima volta che succede in Italia che si spara a chi ha la pelle nera. Il razzismo, dall’assassinio di Jerry Masslo in poi, è stato un fenomeno crescente. E non parlo solo del razzismo aggressivo e violento ma anche di un razzismo diffuso fatto di offese, di diffidenza, di rifiuti, di segregazioni e di inferiorizzazione. Ma per rimanere al tema del razzismo violento, mi permetto di ricordare fatti avvenuti a Rosarno, a Castel Volturno, a Fermo, a Firenze. Certo! l’azione di Traini è più assimilabile ai fatti di Firenze del 13 dicembre 2011 sia per le motivazioni che per le modalità. In entrambi i casi, l’attivismo politico di militanti neofascisti ha trovato nei neri i loro bersagli per ucciderli in nome della difesa della nazione o della razza che dir si voglia. Colpisce il fatto che quando Traini ha compiuto le sue nefandezze aveva con sé la bandiera della Repubblica Italiana e quando l’hanno arrestato l’aveva indossato. Un fatto simbolico grave che colpisce l’immaginario e chiama in causa la Repubblica. Dicono altresì che sia stato accolto come un eroe in carcere. E comunque il suo gesto viene giustificato e trova consenso assai diffuso, basta scorrere le tante reazioni nei media sociali. C’è persino una forza politica che lo difende e lo esalta come eroe. Poi oltre il lato politico-ideologico c’è anche un salto culturale nella narrazione di ciò che è avvenuto. La tesi secondo cui gli organi della povera vittima fossero stati mangiati dai nigeriani in un rito “voodoo” rientra nella volontà di demonizzazione di chi ha la pelle nera. In coerenza con la logica di fare paura, ripropongono la mitologia dell’uomo nero antropofago. È stato il sommum di un differenzialismo razzista. In questa narrazione i media hanno prestato il fianco se non hanno addirittura promosso questa tipologia di racconto. Davvero deprimente e pericoloso perché si sa che la diabolizzazione spesso è il preludio a genocidi o azioni di pulizia etnica. Insomma, siamo andati ben oltre le banane tirate alla Kyenge.

Tanti immigrati oggi hanno paura di subire gli attacchi del genere. Lei come si sente?
Certo, il clima è pesante e lo avvertiamo ogni giorno. Confesso di avere avuto paura per la prima volta. Il fatto è che il neo-razzismo violento può colpire chiunque abbia sembianze etniche diverse. E come dice spesso Kossi Komla-Ebri (medico e scrittore), “noi siamo diversamente visibili e non possiamo mimetizzarci”. Dunque, metto sul conto che in questo paese chiunque ha la pelle nera possa essere un bersaglio e dunque anch’io posso esserlo.

È anche vero che questa volta, la mia reazione è stata diversa rispetto al mio solito di fronte a fatti del genere. Il mio coinvolgimento emotivo è diverso ed è maggiore rispetto ad esempio ai fatti di Firenze quando ad essere nel mirino erano dei miei fratelli senegalesi. Oggi, il razzismo ha fatto un passo in più nelle modalità della sua espressione e nel consenso che trova. Ho la sensazione che non si può considerare la retata contro i neri, un fatto eccezionale di cronaca. Qui è subentrato un programma politico legittimato da un consenso largo e da un livello di “accettabilità” maggiore.

Purtroppo, lo Stato e quei corpi sociali che avrebbero dovuto fungere da argine o da anticorpi sono deboli quando pensano di dover agire e spesso non agiscono neanche più di fronte a questi fatti che pian piano assumono una certa normalità. Persino la capacità di indignazione rispetto a questi fenomeni è relativamente debole ed effimero. È a questo punto che siamo arrivati. Se la democrazia non tutela sé stessa ci sarà un epilogo tragico per questo paese.

Nessun politico ha avuto il coraggio di definire quello che è successo a Macerata come un attacco terroristico di ispirazione fascista. Roberto Saviano sul Guardian lo ha definito proprio così. Il termine terrorismo sembra applicabile solo agli atti compiuti dalle persone di origine straniera. Cosa ne pensa?
Al di là della precisione semantica sono d’accordo con Roberto Saviano e credo che la fenomenologia (Casseri, Traini) dica chiaramente che il razzismo può manifestarsi anche con attacchi terroristici di stampo neofascista. Che il neofascismo si esprime in questi tempi in forma di terrorismo razziale. Così è stato con Casseri e così è stato con Luca Traini. Ma da azioni di “lupi solitari” si potrebbe tranquillamente passare ad azioni collettive pianificate come si esplicita nel disegno di Casapound e Forza Nuova.

Già ci sono le ronde che portano avanti azioni “pulitive” con delle vere spedizioni punitive. Poi c’è la politica, e penso anche alle forze che hanno sempre detto di credere nei valori della uguaglianza, che non tematizzano il razzismo come questione decisiva per la coesione sociale perché spesso sottovalutano l’esistenza di una questione razziale.

Nello stesso articolo sul Guardian Roberto Saviano dice che il fascismo è tornato, e che sta paralizzando l’Italia. Anche Lei ha la stessa sensazione?
Non arriverei a dire in modo così netto che il fascismo è tornato. Certo il regime non c’è in Italia e chissà per quanto tempo ancora? Che il fascismo possa tornare, magari in nuova veste, non è da escludere a priori. I segnali che emergono nel paese, anche confrontati al contesto in cui è maturato l’avvento del ventennio, ci dicono che abbassare la guardia potrebbe costare caro. Occorre agire per fermare una deriva che è già iniziata in Italia. Casapound, Forza Nuova ma anche FDI e la Lega di Salvini sono forze politiche neofasciste che dirsi voglia. Anche in altri paesi europei come l’Austria e la Polonia i segnali si sono materializzati. Altrove il consenso sociale ed elettorale che hanno le forze di estrema destra come in Francia, Inghilterra e Germania dicono che non possiamo affatto sottovalutare il pericolo del nazi-fascismo anche se si dovesse manifestare in termini nuovi con tanto di legittimazione “democratica”.

In ogni caso preferisco parlare di neofascismo come cultura, come ispirazione e come programma politico anche in ambito di democrazia. Oggi i segnali che emergono in Italia non ci mettono al riparo del varo di nuove leggi razziali e di compressioni di libertà civili. Approfitto per dire che sono rimasto scioccato dalla recente sentenza della Corte di Cassazione e delle motivazioni che ha portato partendo da una sorta cesura concettuale tra pensiero ed azione e parlando di “libera manifestazione di pensiero” che non comporta una “concreta ricostruzione” del regime.  Sappiamo che anche la giurisprudenza fa cultura del diritto. Di questo passo si sdogana il fascismo e gli si dà dignità sociale.

Secondo Lei cosa si può fare oggi per fermare questa deriva di cui parla?
Intanto, occorre avere la consapevolezza dell’esistenza del fenomeno è dei rischi che comporta. Il razzismo oggi è la cifra principale del neofascismo. È il razzismo non è solo quello dei violenti neofascisti che promuovono terrorismo razziale. C’è anche un razzismo diffuso che incontriamo ogni giorni nelle piazze, negli autobus, nella metro, negli stadi e nei luoghi di lavoro. Occorre che la politica, i media e le agenzie formative, a partire dalla scuola, abbiano programmi in grado di incidere sui processi socioculturali e la formazione delle opinioni pubbliche. Servono inoltre azioni di “filtraggio” nei media sociali che oggi danno voce e possibilità di sfogo ai peggiori istinti. Parallelamente servono azioni positive, luoghi di incontro e conoscenza, così come servono presidi legali ed intellettuali per contrastare le manifestazioni di razzismo. Anche la società civile deve reagire per isolare ogni discorso razzista. In questa ottica, anche le comunità straniere e le loro associazioni hanno un ruolo importante nel facilitare discorsi e progetti di incontro e conoscenza reciproca. Al punto in cui siamo arrivati bisogna decostruire una narrazione che sta conformando la società.  Serve rilanciare un movimento antirazzista capace di inventare nuove modalità di azioni che vanno oltre la semplice denuncia e/o l’indignazione. Insomma, serve un nuovo antirazzismo che possa fare vivere la pregiudiziale antidiscriminatoria così come concepita nella Costituzione repubblicana.
 
Quale è il suo messaggio a chi si dice orgoglioso di essere razzista?
Direi che il dato cosmopolita è nella realtà dell’Italia di oggi è di domani, piaccia o non piaccia. Che non si può pensare di fermare il treno della storia. Il destino dell’Italia è già segnato da questo punto di vista. Il futuro è nell’incontro tra diversi e nella capacità di vincere la sfida di una convivenza civile e pacifica. Direi soprattutto ai genitori di ragazzi giovani di educare i loro figli non precludendo loro le opportunità di vivere il mondo. Il mondo non finisce nel perimetro del proprio quartiere o del proprio paese. L’umanità conta sette miliardi di esseri umani diversi e la natura ha deciso così. È nella fatica dell’incontro e nella curiosità della scoperta che si trova il senso della vita. D’altronde siamo tutti chiamati ad emigrare nell’al di là. Ai politici direi di non essere prigionieri della paura, di avere il coraggio di sognare un mondo migliore. Direi a loro che l’etica pubblica si esplicita nella pedagogia dell’esempio, nella capacità di coltivare visioni positive oltre i tempi di una prova elettorale. I politici devono sapere che per un politico l’eredità conta più dell’eleggibilità. Infine, ricorderei a tutti che l’Italia è un grande paese che ha saputo promuovere valori universali di un umanesimo secolare. Pensare di ritornare nelle piccole patrie non è avere una grande ambizione per paese e non è rendere servizio alle prossime generazioni.

Stephen Ogongo Ongong’a

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