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La xenofobia non paga più, chiedete ad Alemanno e a Gentilini…

Addio allo sceriffo condannato per razzismo, ma perde anche il sindaco portato in Campidoglio dall’”emergenza nomadi”. Soffiare sulla paura dell’immigrazione un tempo regalava voti, i risultati di oggi dicono che non funziona più

Roma – 10 giugno 2013 – I ballottaggi mandano a casa la xenofobia e un’idea di immigrazione brutta e cattiva sulla quale qualcuno pensava ancora di vincere le elezioni.

A Treviso il leghista Giancarlo Gentilini, quello che voleva giocare al tirassegno con gli  immigrati vestiti da leprotti, ne ha fatto per un ventennio una bandiera. Di più, una medaglia sul petto, riconosciuta come tale da quanti hanno sostenuto la sua campagna elettorale, se è riuscito a correrla fiero fino alla fine, nonostante l’ignominia di una condanna per razzismo confermata in due gradi di giudizio.

Lo sceriffo l’ha sventolata fino all’ultimo, quella bandiera. Chiedendo che gli immigrati si “appuntino sul petto un pezzo di lenzuolo”, sciacallando sulla strage di Niguarda, agitando come uno spauracchio anche l’elezione di un giovane figlio di immigrati in consiglio comunale nelle liste di Sel: il peggio del peggio, uno “straniero” comunista.

“L’orda barbara della sinistra non si ferma mai”, dice oggi Gentilini mentre lascia, presumibilmente per sempre, la scena politica. E proprio in quella sua idea di “barbarie”, qualunque cosa estranea al suo piccolo e inesistente mondo antico, sta la chiave della sua superatezza. E della sua sconfitta.

Non è mai arrivato a così bassi livelli Adriano Paroli, che ha perso la poltrona di sindaco a Brescia, colpo duro per il Popolo delle Libertà.  Però i nostri lettori hanno imparato a conoscerlo per la pervicacia con cui ha voluto negare un bonus bebè ai figli degli immigrati nati in città, bambini già bresciani e che prima o poi saranno italiani anche per legge.

“A forza di preoccuparci di non discriminare gli stranieri rischiamo di dimenticare i nostri cittadini” disse Paroli. Come se quegli stranieri non fossero, comunque, suoi cittadini. Il tribunale di Brescia giudicò che il bando era discriminatorio? Lui, anziché modificarlo, lo cancellò: piuttosto che dare quei mille euro agli immigrati preferiva non darli nemmeno agli italiani.  

Quell’ossessione è costata alla sua amministrazione sette sconfitte in tribunale, ai bresciani decine di migliaia di euro tra spese legali e risarcimenti. Anche questo è il prezzo della xenofobia.

Poi c’è Gianni Alemanno, che arrivò in Campidoglio nel 2008 gridando “sicurezza!” dopo che Romulus Nicolae Mailat aveva seviziato e ucciso Giovanna Reggiani. Mailat finì in prigione, il problema di Roma diventarono i nomadi,  schedati, sgomberati ed allontanati, con il nuovo sindaco che chiedeva al governo strumenti più efficaci per combattere quella battaglia.

Ha continuato a chiederli fino a pochi giorni fa,  dopo che l”emergenza nomadi” è stata giudicata illegittima anche dalla Cassazione, perché mancavano i presupposti emergenziali, perché era, insomma, una falsa emergenza. Ed erano quindi illegittimi i piani gestiti dalla sua e da altre amministrazioni, gli sgomberi e le schedature razziste.

Nella sua crociata sulla sicurezza Alemanno ha forse dimenticato che le vittime dell’insicurezza delle periferie della Capitale sono i cittadini di quelle periferie, spesso e malvolentieri immigrati. Spesso e volentieri cittadini romeni, quegli stessi che un’amministrazione interessata davvero ai suoi cittadini avrebbe sensibilizzato perché andassero alle urne e invece questa missione, se mai è iniziata, è clamorosamente fallita.

Giovedì scorso, nel confronto tv con Marino,  il sindaco uscente riproponeva il solito distinguo tra gli “immigrati che vengono qui per rispettare le regole”, “persone fantastiche”, e quelli che violano le regole e “se ne devono andare”. Un distinguo peloso, che sa quasi di cinquanta e cinquanta, di un colpo al cerchio del politically correct e di uno alla botte della sparata anti-immigrati, che magari paga.

No. Stavolta non ha pagato. Quella botte si è ormai svuotata, per Alemanno e per tutti gli altri. Speriamo per sempre.

Elvio Pasca
 

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