Se hai chiesto di diventare italiano, raccontaci quanto si è fatta attendere la risposta dello Stato. Facciamo luce su un aspetto poco conosciuto di questa maratona
Roma – 12 giugno 2012 – Cinquantaquattromila nel 2008, cinquantanovemila nel 2009, sessantaseimila nel 2010… aumentano con una progressione serrata i nuovi italiani, uomini, donne e bambini nati stranieri che acquisiscono la cittadinanza tricolore. Dati importanti, che fotografano un traguardo, ma non raccontano il faticoso percorso che lo precede.
Non chiediamoci, per una volta, se è giusto pretendere da un immigrato dieci anni di residenza regolare prima di concedergli la cittadinanza oppure prevedere uno sconto a due anni per chi sposa un italiano. E lasciamo perdere, solo stavolta, la profonda ingiustizia riservata alle seconde generazioni, ragazzi e ragazze nati e cresciuti qui, considerati stranieri almeno finchè non compiono diciotto anni.
Facciamo finta di dimenticare l’urgenza di una riforma e concentriamoci sul supplemento di pena che oggi gli aspiranti italiani devono patire una volta messi insieme i requisiti previsti dalla legge, tra il momento in cui presentano la domanda (sborsando, conviene ricordarlo, duecento euro) e quello in cui diventano a tutti gli effetti cittadini di questo Paese. Dati ufficiali sui tempi medi d’attesa non ne abbiamo trovati, vorremmo ascoltare le testimoniante dei diretti interessati.
Se siete diventati italiani, o se avete solo chiesto di diventarlo, se avete amici o parenti in questa situazione, raccontateci com’è andata. Spiegateci dopo quanti anni da “stranieri” e per quale motivo avete chiesto di diventare italiani, ma soprattutto quanto vi hanno fatto aspettare per una risposta e le eventuali complicazioni che sono sorte durante quel periodo. È sufficiente inserire qui sotto un commento di poche righe, ma se avete voglia siate anche più dettagliati.
A cosa serve? Intanto, a far conoscere a tutti un aspetto importante e spesso ignorato dell’estenuante maratona verso la cittadinanza, poi a capire se lo Stato, anche a fronte dei duecento euro chiesti per il disturbo, fa almeno un buon lavoro. Perché magari per una vera riforma ci vorrà del tempo, ma qualche legge per tutelarsi dall’inefficienza della burocrazia esiste già. E più voci si mettono insieme, più sarà facile farsi ascoltare.