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Decreto flussi e trasferimento delle competenze sui migranti: giudici e avvocati contro il governo

Roma, 22 novembre 2024 – La riforma introdotta con un emendamento al Decreto Flussi, che trasferisce la competenza sui procedimenti di convalida e proroga dei trattenimenti dei migranti dalle sezioni specializzate dei tribunali civili alle corti d’appello, sta scatenando un acceso dibattito nel mondo della giustizia. Magistrati e avvocati si oppongono duramente, denunciando criticità che potrebbero compromettere l’efficienza del sistema giudiziario e aumentare i tempi di risoluzione delle cause civili.

Decreto Flussi, la denuncia delle Camere Penali

Il presidente delle Camere penali, Francesco Petrelli, ha espresso forte preoccupazione per una decisione che considera problematica sia dal punto di vista organizzativo che politico. Secondo Petrelli, “questi provvedimenti non solo non aiutano a risolvere i complessi problemi della giurisdizione in tema di migranti e paesi sicuri, ma rischiano di alimentare tensioni fra magistratura e politica, in un momento in cui queste dovrebbero essere evitate“. L’emendamento, aggiunge Petrelli, lascia irrisolta la questione cruciale dell’organizzazione degli uffici giudiziari: le corti d’appello, già sotto pressione per i carichi di lavoro preesistenti, rischiano di essere ulteriormente gravate senza ricevere risorse aggiuntive o potenziamenti degli organici.

Le critiche degli avvocati si aggiungono a quelle sollevate dalla Associazione Nazionale Magistrati (ANM) e dai presidenti delle corti d’appello. Secondo l’ANM, le corti si troveranno a dover gestire 30.000 nuovi procedimenti all’anno, con tempi strettissimi per la loro definizione. Un numero che, secondo il presidente della Corte d’appello di Milano, Giuseppe Ondei, potrebbe paralizzare il sistema. Ondei ha sottolineato come questa riforma possa compromettere la capacità delle corti di rispettare gli obiettivi del PNRR, con un aumento dei tempi di risoluzione di altre cause civili. A Milano, ad esempio, si stima che il numero di cause ritardate potrebbe salire di 400-500 all’anno, facendo crollare la media attuale di 200 giorni per una decisione.

Anche sul fronte parlamentare, l’emendamento è oggetto di dure critiche. La deputata del PdDebora Serracchiani, ha definito la misura una decisione “irragionevole e potenzialmente punitiva nei confronti della magistratura”. Secondo Serracchiani, l’obiettivo dichiarato di migliorare l’efficienza della giustizia è del tutto disatteso, mentre emergerebbe una presunta volontà politica di rivalsa verso i giudici che hanno emesso decisioni sgradite al governo. Un’accusa condivisa anche da Devis Dori di Alleanza Verdi e Sinistra (Avs), secondo il quale la riforma punta a “ostruire le pratiche, creare un ingorgo e far saltare il sistema”. Dori ha inoltre criticato l’idea, sostenuta dalla destra, che esautorare le sezioni specializzate possa contrastare una presunta politicizzazione dei giudici, definendola un’operazione ideologica che danneggia il funzionamento complessivo della giustizia.

La preoccupazione è condivisa da tutte le parti coinvolte: il trasferimento di competenze, senza un adeguato aumento di risorse e organici, rischia di paralizzare le corti d’appello, aggravando ulteriormente i tempi della giustizia civile e mettendo a rischio i diritti dei migranti. Mentre il governo difende la riforma come un passo necessario per migliorare il sistema, la realtà descritta da magistrati e avvocati sembra delineare uno scenario di inefficienza e disorganizzazione, con pesanti ricadute per l’intero sistema giudiziario italiano.

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