Per 8 su 10 sarebbe utile un’organizzazione ad hoc. Cisl: "Dati senza riscontro", Cgil e Uil: "Non sottovalutiamoli, mostrano insoddisfazione"
Roma – 23 ottobre 2008 – Otto lavoratori immigrati su dieci (81,1%) vorrebbero un apposito sindacato che li rappresentasse e quasi altrettanti (76%) sarebbero pronti allo sciopero per rivendicare i loro diritti. È quanto emerge dal rapporto "Lavoro, diritti e integrazione degli immigrati in Italia" della società di ricerche economiche e sociali Eures. La ricerca è stata eseguita tra giugno e ottobre 2008 su un campione di 1.105 stranieri regolari, provenienti da 71 Paesi, che vivono e lavorano in Italia.
I principali obiettivi che il “sindacato dei lavoratori stranieri” dovrebbe porsi sono: legalità e regolarità dei contratti, sicurezza sul lavoro, tutele sociali, salvaguardia dei salari, lotta alla precarietà e alla discriminazione. Dai dati risulta che a sentirne maggiormente l’esigenza sono gli immigrati dell’Est Europa (con un’adesione dell’87,2%), più frequentemente occupati nel settore delle costruzioni, dell’impiantistica, seguiti dai lavoratori del Centro-Sud America (84,5%), da quelli dell’Africa (75,4%) e da quelli dell’Asia (73,2%).
Del campione intervistato l’83,2% ha un lavoro (il 67% subordinato, il 14,8% autonomo). Nel complesso hanno buone relazioni sul posto di lavoro. Le note dolenti riguardano invece la retribuzione, insoddisfacente per il 50,8% del campione, ma anche la stabilità del posto di lavoro (47,1% di insoddisfatti), la rispondenza alla formazione (46%) e la sicurezza sul posto di lavoro (35,2%). Per tutti questi motivi oltre due lavoratori stranieri intervistati su tre ritengono utile uno sciopero a sostegno delle proprie rivendicazioni (il 76,3%).
La Eures osserva che “se tutti i lavoratori stranieri incrociassero le braccia, al di là degli effetti fortemente negativi sul Pil nazionale (di cui producono quasi il 10%), si avrebbe una paralisi di alcuni settori. Quelli, per lo più abbandonati dagli italiani, come i servizi alle famiglie (dove la componente straniera raggiunge il 67%), ma anche nell’agricoltura (20,9% di occupati stranieri), nelle costruzioni (19,7%) e nel comparto turistico ricettivo (20,9%); fortemente indeboliti ne risulterebbero anche il tessile (14,8% di occupati stranieri), l’industria conciaria (15,7%), quella metallifera (14,6%) e, più in generale, l’industria nel suo complesso (12,9%)”.
I sindacati confederali
“Sono dati che non mi convincono, non trovano riscontro nella realtà. La Cisl è il primo sindacato tra gli immigrati: 300 mila iscritti, l’11% dei lavoratori attivi, che partecipano direttamente e ricoprono incarichi estremamente importanti. Come Liliana Ocmin, coordinatrice nazionale delle Donne della Cisl, o Eva Blasik, membro di segreteria della Cisl Lazio” commenta Oberdan Ciucci, copresidente dell’Anolf Cisl.
Ciucci diffida dei “sindacati degli stranieri”. “Ne ho visti nascere e morire tanti. Spesso sono sigle fantomatiche dietro le quali si nascondono associazioni che offrono servizi agli immigrati e se li fanno pagare profumatamente” racconta.
“Come tutti i lavoratori, gli stranieri hanno il diritto di organizzarsi come credono, creando anche sindacati di questo tipo. Ma all’interno di un’azione svolta dai tre sindacati confederali possono avere molta più forza” commenta invece Giuseppe Casucci, coordinatore Nazionale delle Politiche Migratorie della Uil.
“La risposta che viene fuori dal sondaggio non va però sottovalutata, –sottolinea Casucci – perché rimanda evidentemente a una carenza attribuita al sindacato, che non si occuperebbe in maniera efficiente dei bisogni dei lavoratori stranieri e quindi non sarebbe pienamente rappresentativo. Dobbiamo riflettere sul modo in cui si fa politica sull’immigrazione e sui rapporti da ricercare anche con altre organizzazioni. Se rispondono così, forse un po’ di colpa è anche nostra”.
“Cgil, Cisl e Uil hanno già riscontrato la grande esigenza di sindacalizzazione degli immigrati. Abbiamo in tutto 800mila iscritti stranieri, un tasso in percentuale più alto di quello degli italiani. Il che è normale, visto che le condizioni sociali e lavorative degli immigrati sono peggiori e di conseguenza il bisogno di qualcuno che difenda i loro diritti e interessi è più forte” dice Piero Soldini, responsabile immigrazione della Cgil.
“Il sondaggio dimostra però un’ insoddisfazione nei confronti dei sindacati confederali, che spesso sottovalutano i problemi dell’immigrazione, in parte anche perché hanno pochi stranieri negli organismi dirigenti. Dobbiamo usare i dati come stimolo per migliorare, ma ritengo che la fondazione di un sindacato a parte sarebbe controproducente: aumenterebbe la distanza e non faciliterebbe l’integrazione”.
Antonia Ilinova
Elvio Pasca