20 giugno al Colosseo. Un largo cartello di associazioni, assieme a Cgil, Cisl e Uil, hanno aderito all’appello lanciato dal tavolo Immigrazione. Ecco cosa propongono per non continuare a sacrificare migliaia di uomini, donne e bambini
Roma, 18 giugno 2015 – Sono quasi 2000 le vittime dei naufragi nel Mediterraneo in meno di sei mesi. Nel 2014 sono annegati 3.500 esseri umani nerlle acque del Mare Nostrum, ma dal 1988 sono oltre 22 mila le vittime accertate.
Il nostro “mare di mezzo” è diventato un cimitero a cielo aperto, costantemente attraversato da profughi e migranti in fuga dall’Africa Sub-sahariana e dal Medio Oriente, attraverso le coste del Nord Africa. Gente in fuga, terrorizzate dai conflitti e le persecuzioni etniche e religiose. Ma anche migranti, piegati a casa dalla miseria e dalla assenza di futuro per i loro figli. Hanno fatto debiti impegnando tutta la famiglia, per pagare migliaia di euro ai trafficanti e scappare da Paesi come il Sudan, Mali, Nigeria, Yemen; dalla Siria, l’Iraq e l’Afghanistan. Una volta raggiunta la Libia, la Tunisia o l’Egitto debbono pagare gli scafisti per attraversare il mare.
Molti non arrivano sulla costa e scompaiono nelle sabbie del deserto. Chi arriva è costretto a mettersi nelle mani degli scafisti, una rete criminale, fortemente organizzata e attrezzata di mezzi sofisticati per eludere i controlli e tracciare nuove rotte d’ingresso all’Europa. Questi migranti e profughi subiscono spesso violenze e stupri, ad opera di bande armate che hanno trasformato la Libia in un campo di battaglia. Così migliaia di esseri umani, molti donne e bambini, pagano altro denaro per potersi imbarcare su dei mezzi di fortuna. Si abbandonano ai rischi di una traversata che potrebbe essere mortale pur di dirigersi verso un Continente che non li vuole.
Eppure si tratta spesso di persone in fuga da guerre e persecuzioni, da zone in cui l’appartenenza ad etnie non gradite alle bande armate, può significare la morte o la schiavitù. Persone dunque che hanno diritto a presentare domanda d’asilo o protezione internazionale, ma che per il Regolamento di Dublino, non lo possono fare prima di aver calpestato il suolo europeo. Viaggiano spesso insieme ad altri disperati, che legalmente non avrebbero questo diritto, in quanto la loro “colpa” è quella di aver osato scappare dalla miseria e da un futuro tetro e senza speranza.
Oggi l’Europa, mentre litiga al proprio interno per decidere chi deve accogliere i futuri asilanti e rifiuta categoricamente chi è migrante economico, non sembra capace di rispondere ad una domanda fondamentale: come affrontare un rivolgimento biblico che sta trasformando il continente africano e che investirà inevitabilmente anche il Vecchio Continente? Di fronte ad esodi che rischiano di coinvolgere milioni di persone, è in grado la UE di formulare una proposta politica razionale, di andare al di là dell’effimera illusione di poter fermare la marea umana di disperati erigendo improbabili barriere?
E c’è un’altra domanda dalla natura più etica che coinvolge i nostri valori e visione della vita: può la nostra coscienza accettare l’idea di sacrificare migliaia di uomini, donne e bambini sull’altare dell’indifferenza e di una concezione securitaria dell’Europa? Se si utilizza l’alibi del Regolamento di Dublino per respingere alle frontiere la disperazione, pretendendo che sia compito di un qualcun altro quello di farvi fronte, come possiamo pensare che avremo mai una Unione di Paesi forte, equa e solidale?
E’ facile (e immorale) far leva sulle difficoltà economiche delle famiglie e dare vita ad una guerra tra poveri e disperati. “Non li vogliamo”, grida qualcuno: “tornino a casa loro”. Ma dove debbono tornare, se molti di loro una casa non ce l’hanno e ritornare può significare morire o essere discriminati?
Il sindacato e le associazioni della società civile hanno deciso di dire basta ad una politica di egoismo ed indifferenza verso migranti e richiedenti asilo. Pensano che una risposta può essere data all’insegna della solidarietà e dell’umana vicinanza a chi ha bisogno disperato di aiuto.
Sabato 20 giugno saremo in Piazza al Colosseo, a partire dalle ore 15. L’occasione è data dalla Giornata internazionale del Rifugiato. Parteciperanno all’evento delegazioni provenienti da varie città italiane e qualcuna dall’estero. Per il sindacato l’appuntamento è importante e la parola è affidata ai tre segretari generali di Uil, Cgil e Cisl.
Sappiamo che non è facile affrontare una situazione geopolitica di tale portata e che dare accoglienza ed integrare tanta umanità costa molto ad una società come la nostra già gravata dalla crisi economica. Ma come ha detto papa Francesco: non è possibile girare la testa dall’altra parte. E in effetti, anche noi crediamo che il nostro primo dovere sia quello di salvare chi è a rischio della vita, “senza se e senza ma”.
Crediamo che il nostro Governo (e noi stessi) possa fare di più: sul fronte interno offrendo accoglienza ed integrazione degni di questo nome, senza per questo essere vittime della speculazione ed ingordigia di organizzazioni criminali; sul fronte esterno chiedendo all’Europa di agire come vera Unione nel dare risposte immediate e efficaci. Questo per noi significa:
a) Garantire un programma adeguato di search and rescue, al fine precipuo di salvare vite umane;
b) Cambiare il regolamento di Dublino e permettere a chi ne ha diritto di fare domanda d’asilo nei paesi di transito;
c) Condividere tra i 28 Paesi il dovere di dare asilo ed assistenza a rifugiati e titolari di protezione internazionale;
d) Riaprire canali d’ingresso legale in Europa per i migranti, come alternativa all’immigrazione irregolare;
e) Rilanciare la cooperazione e lo sviluppo sostenibile con i Paesi e le zone più povere al fine di prevenire la necessità di migrare.
Beppe Casucci
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