Soldini (Cgil): "Ennesima bufala del governo", Casucci (Uil): "20mila quote in meno grazie alla Lega", Lagamba (sei-Ugl): "Prima e parziale risposta" Roma – 5 dicembre 2008 – I sindacati criticano il decreto flussi 2008, lo ritengono insufficiente, contestano procedura e i criteri sui 150mila nuovi ingressi.
Piero Soldini, responsabile immigrazione della Cgil, definisce il decreto ‘l’ennesima bufala del Governo” e rilancia le accuse del sindacato sul metodo adottato per definirlo.
L’esecutivo, denuncia Soldini, non ha adottato il piano triennale sui flussi d’ingressi, ma “nel caso in cui questo piano non venga adottato, la legge stabilisce che bisogna prendere in considerazione il decreto dell’anno precedente” che contava 170mila ingressi. “Il governo non ha tenuto conto ne’ dell’uno ne’ dell’altro”
Inoltre, il requisito della carta di soggiorno per i datori stranieri “è una clausola non prevista dalla legge che, nell’articolo 22 comma 2, dice che i datori di lavoro regolarmente soggiornanti possono fare richieste. Cercheremo di approfondire la questione da un punto di vista giuridico perche’ un Dpcm si e’ arrogato il diritto di modificare la legge e non mi sembra sia possibile”.
Secondo la Cgil, ”il Governo non affronta il vero problema, ovvero quello di avere un meccanismo piu’ aderente per il mercato del lavoro che faccia riferimento alla domanda e all’offerta. Sarebbe meglio mettersi a studiare un meccanismo che riformi la Bossi-Fini e preveda un flusso piu’ aderente alla realta’, per monitorare anche meglio la situazione senza agitare l’innalzamento delle barriere che e’ dimostrato non servono a niente: la gente arriva clandestinamente”.
“Il decreto è frutto della crisi economica ed occupazionale, del pressing continuo esercitato dai mass-media sui temi migratori, nonché del notevole peso specifico della Lega, che ha ottenuto uno sconto di 20mila quote” scrive Giuseppe Casucci, Coordinatore Nazionale Politiche Migratorie della Uil.
Secondo la Uil il governo, ignorando gli appelli dei sindacati, non ha nemmeno rispettato la procedura prevista dalla legge, “che impone la consultazione delle parti sociali ed i successivi passaggi con la Conferenza Stato – Regioni, Consiglio di Stato, ecc”. Inoltre anche i criteri interni adottati nel decreto”appaiono di dubbia funzionalità”.
Il limite della carta di soggiorno, aggiunge Casucci, “dà l’impressione di voler tagliare il numero delle domande sulla base di un criterio etnico”. Mentre non prevedere la possibilità di presentare nuove domande “crea problemi ad alcuni nostri segmenti produttivi che non avranno altra alternativa che pescare dalla manodopera immigrata presente in Italia, in gran parte irregolare e sommersa”.
Il sindacalista nota infine che tra la domanda è l’arrivo del lavoratore passeranno “due anni o più. E’ possibile immaginare un meccanismo d’incontro tra domanda ed offerta di lavoro così lento e farraginoso? E che fare delle molte migliaia di persone che vivono e lavorano accanto a noi in condizione di irregolarità e di assenza di diritti?”
“Non vorremmo che agli immigrati si finisse per chiedere proprio il contrario di ciò che caratterizza l’attuale congiuntura del mondo del lavoro, contraddistinta dal ricorso alla flessibilità e a forme contrattuali temporanee e precarie”. commenta invece il presidente nazionale del Sei Ugl, Luciano Lagamba, secondo il quale il decreto “è una prima e molto parziale risposta ad una esigenza vera per seicentomila lavoratori stranieri e per altrettante aziende e famiglie che vorrebbero rispettare le regole in materia di occupazione”.
“In una fase di crisi generalizzata – continua Lagamba – si rischia di scaricare sui lavoratori, soprattutto su quelli meno tutelati, in particolare stranieri, i pesanti costi di ristrutturazione e riorganizzazione industriale e produttiva. Uno scenario fortemente preoccupante rispetto al quale il sindacato ha chiesto con forza di aumentare gli stanziamenti per gli ammortizzatori sociali da estendere anche alle categorie oggi prive di coperture”.
“Ci attendiamo dal Governo e dal Parlamento un segnale chiaro che vada nel senso di interpretare in maniera più flessibile la norma che lega la permanenza nel nostro Paese ad un contratto di lavoro stabile che, stante la congiuntura, è per molti versi una chimera. In questo modo, -conclude Lagamba – i lavoratori stranieri e le loro famiglie potrebbero godere di una maggiore sicurezza e tranquillità in attesa della auspicata ripresa economica”.