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Gassman: “Chi nasce in Italia deve essere italiano. La legge è razzista”

Intervista al regista e attore, da oggi nelle sale con Razzabastarda. "Ho cinque sangui nelle vene, mi ritengo un cittadino del mondo. L’Italia, però, ha la memoria corta e dovrebbe capire quanto può arricchirla l’immigrazione”

Roma – 18 marzo 2013 – „Io credo che questo paese non potrà definirsi totalmente democratico finché non sarà cambiata la legge in vigore soltanto qui e in Francia, secondo la quale chi nasce in Italia da genitori stranieri, non ha diritto alla cittadinanza italiana. Io trovo che questa sia una legge razzista, che va cambiata”. Lo dice Alessandro Gassman , in un’intervista al settimanale Gazeta Românească in edicola da domani.

L’occasione è l’arrivo nelle sale di Razzabastarda, di cui Gassman è regista, co-sceneggiatore e protagonista. Nato come opera teatrale (Roman e il suo cucciolo, adattamento italiano di Cuba and His Teddy Bear di Reinaldo Povod), racconta la storia di un migrant e romeno che vive da trent’anni in Italia, tra droga e delinquenza, ma che sogna di dare a suo figlio Nicu un destino diverso, migliore.

"È un film che parla del rapporto tra un padre e un figlio, ma soprattutto un film sull’integrazione nel nostro paese, nella convinzione che, per dirla con una frase di Einstein, 'non esistono razze, ma esiste una sola razza, quella umana'. Essendo io anche bastardo di persona, nel senso che ho cinque sangui nelle vene, mi ritengo un cittadino del mondo, senza considerare una lingua, una religione, un colore”  dice l'attore e regista.

"L’Italia di oggi – aggiunge – è un paese con la memoria corta. Un paese che in passato ha conosciuto l’emigrazione, milioni, decine di milioni di italiani, per motivi economici, sono stati costretti a cercare la fortuna all’estero, soprattutto in Sud America o negli Stati Uniti.  Mi dispiace che l’Italia non sia in grado dei accettare in maniera moderna e democratica l’arrivo degli stranieri nel suo territorio. Questa è una cosa per la quale mi batto da sei anni con l’Amnesty International, che ha anche dato il patrocinio, ed è una cosa cui tengo”.

Com’è nata l’idea del film?
"Tutto inizia alla fine degli anni ’80, quando Robert de Niro, che è un mito per me, decise di portare in scena il testo di uno sconosciutto, Reinaldo Povod, che poi, tra l’altro morì di overdose due anni dopo, dunque portava in sè la storia che racconta. A quel tempo, avevo l’età del cucciolo, quindi volevo fare il ragazzino. Dopo tanti anni, l’Italia è cambiata, e gli stranieri in Italia, che erano circa 250 mila sono arrivati a quasi 6 milioni. La nostra società è cambiata e mi sono ricordato di quel testo e quella situazione di degrado della periferia di New York, di Bronx, assomiglia molto a quella che viviamo nell’Italia di oggi. Così, con Edoardo Erba prima per il teatro, poi con Vittorio Moroni per il cinema, abbiamo a lavorare in questa direzione".

Il titolo Razzabastarda, non può dare spazio a fraintendimenti, soprattutto in un momento delicato come quello di oggi. Insomma, non è che alcuni potrebbero capire che la razza bastarda siano i romeni?
"No, mi auguro proprio di no. Lo scopo del film è proprio il contrario. Comunque credo che se qualcuno entrasse nelle sale proprio con quest’idea, vedrebbe una storia che racconta il contrario. La cosa interessante secondo me del racconto di Povod, che mi sembra evidente nel film, è che le nostre periferie -come tutte le periferie d’Europa, in particolare, vivono delle situazioni fortissime, dove tutti quanti- italiani, romeni, albanesi, neri, africani, cinesi etc, vivono nella stessa situazione. In questa storia, proprio in quel luogo lì, dove non c’è dolcezza, non c’è amore, nasce un amore straordinario tra un padre, semianalfabeta, e un figlio. Questo è quello che ha commosso me e che ha commosso anche il pubblico a teatro e anche al cinema”.

Come ha fatto a imparare l’accento romeno, con cui parla nel film?
"No, non è problema questo (dice, ridendo e imitando l’accento romeno). Ho avuto due operai romeni che mi hanno rifatto il bagno a casa, e sono rimasti in casa mia per due settimane, quindi io ho iniziato a parlarci e a capire come parlano. Poi, anche i trasportatori dei camion, che si sono occupati, per tre anni, del trasloco della scenografia di Roman e il suo cucciolo erano romeni. Credo che il romeno sia come un nuovo dialetto italiano. Se consideriamo che siete un milione e mezzo nel nostro paese, come.. tre volte i lucani. E’ come se fossero arrivate tre regioni. Ecco, quinid considero il romeno come un nuovo dialetto italiano”.

A proposito di romeno, quale sono le prime parole in romeno che le vengono in mente?
"Sarmale, mititei cu branza, multumesc, pa.. poi qualche parolaccia. Roman poi, non è una persona molto educata, sapere le parolacce fa parte un pò del personaggio"

Una comunità di più di un milione di romeni, che spesso viene condannata sui giornali per alcuni delitti commessi da una minuscola minoranza. Che ne pensa?
"Andrebbe ricordato che la percentuale degli stranieri che delinquono in Italia sul totale è più bassa di quella dei politici italiani che delinquono. Quindi, non rompessero i coglioni".

"Allora, come si fa che questi pregiudizi permangono nei pensieri dell’italiano medio?
"Prendiamo l’esempio degli Stati Uniti. É un paese grande, che è diventato tale anche grazie agli immigrati: italiani, irlandesi, olandesi, polacchi, romeni, albanesi hanno aiutato a costruire quel paese. Se gli italiani comprendessero  che l’arrivo degli stranieri non è una cosa che deve fare paura, ma è una cosa che arricchisce, non è soltanto la questione di integrare delle persone, ma è una questione di capire chi sono le persone che vengono in questo paese, e prendere da queste persone il meglio di quello che hanno, il meglio delle loro tradizioni, del loro cibo, della loro musica… se vogliamo un’Europa unita, non dobbiamo lasciare che sia solo una moneta a unirci”.

Quando farà un film sui romeni bravi?
"Credo che non ce ne sia bisogno. Per quel che mi riguarda, non avrebbe senso, perchè è il lato che si conosce. Tra l’altro, anche i due personaggi del film, Nicu e Dorina, sono bravi, loro sono le vittime, due persone perbene. Per combattere i pregiudizi, credo che l’ambasciata romena e lo Stato Italiano debbano lavorare più seriamente  e in maniera massiccia per fare informazione. Non è possibile che un paese come l’Italia viva in uno stato di ignoranza simile”.

Miruna Căjvăneanu
 

 

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