Nessuno in Parlamento propone lo ius soli puro, ma intanto il leader del Movimento 5 Stelle cerca il "furor di popolo". Liquidò la questione come “senza senso”, oggi forse ha cambiato idea, ma non la dice
Roma – 10 maggio 2013 – C’è gigantesca disinformazione o titanica furbizia dietro il post sullo ius soli pubblicato oggi da Beppe Grillo nel suo blog. Il secondo su questo tema, dopo quello che nel gennaio 2012 definì la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati “senza senso” e “un modo per distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi” lasciando molti attoniti, anche nella sua base.
Oggi scrive che lo ius soli “in Europa non è presente, se non con alcune eccezioni estremamente regolamentate". Che “dalle dichiarazioni della sinistra …non è chiaro quali siano le condizioni che permetterebbero a chi nasce in Italia di diventare ipso facto cittadino italiano”. E che servirebbe “un referendum nel quale si spiegano gli effetti di uno ius soli dalla nascita”, perché questo “può cambiare nel tempo la geografia del Paese”.
Il leader del M5S non sa o fa finta di non sapere che nessuna delle proposte presentate finora in Parlamento prevede lo ius soli semplice: è italiano chi nasce in Italia, punto. Ma tutte, chiarissimamente, prevedono un cosiddetto ius soli “temperato”: è italiano chi nasce in Italia solo se si verificano anche altre condizioni, come un certo un numero di anni di permanenza regolare dei genitori o la frequenza scolastica. Si tratta insomma di “eccezioni estremamente regolamentate”, come in altri paesi d’ Europa.
La proposta del Partito Democratico, firmata da Cécile Kyenge e Khalid Chaouki, dice ad esempio che è italiano chi nasce in Italia da genitori stranieri regolarmente residenti qui da almeno cinque anni, o chi arriva da piccolo e completa un ciclo di studi. Idem quella di Scelta Civica. In quella di iniziativa popolare della campagna “l’Italia sono anch’io” e in quella di Sinistra Ecologia e Libertà i genitori devono essere regolarmente residenti in Italia da almeno un anno. Stesso termine previsto nel testo del senatore Pdl Carlo Giovanardi, dove però il riconoscimento della cittadinanza scatta solo al momento dell’iscrizione alla scuola dell’obbligo.
Insomma, Grillo propone un referendum su una cosa, lo ius soli puro, che finora non è stata proposta da nessuno. Una bella svista. O la vuole proporre lui? Intanto non si accorge che “la geografia del Paese” è già cambiata da tempo e che qui non si tratta di scegliere se vogliamo o no un milione di figli di immigrati, a meno che pensi che vadano espulsi tutti cacciati, ma di decidere se e a quali condizioni questi bambini e ragazzi, e quelli che nasceranno nei prossimi anni, devono avere o no gli stessi di diritti di amici, amori e compagni di scuola che hanno la fortuna di avere un genitore italiano.
Grillo scrive anche che “lo ius soli se si è nati in Italia da genitori stranieri e si risiede ininterrottamente fino a 18 anni è già un fatto acquisito. Chi vuole al compimento del 18simo anno di età può decidere di diventare cittadino italiano”.
Però dimentica che diciotto anni sono una vita intera, vissuta da straniero, da immigrato, nel proprio Paese. E che non tutti dopo questa lunga attesa riescono poi davvero a diventare italiani, perché, oltre a essere nati qui, devono essere anche regolarmente e continuativamente iscritti all’anagrafe da diciotto anni. E pure che quella regola taglia fuori quanti sono arrivati qui piccolissimi, anche se avevano pochi mesi e anche se nel Paese d’Origine dei genitori non sono tornati mai.
Scopertosi europeista convinto, Grillo dice poi che “lo ius soli dovrebbe essere materia di discussione e di concertazione con gli Stati della UE. Chi entra in Italia, infatti, entra in Europa”. Ignora forse che le regole sulla cittadinanza sono uno dei pochi ambiti in cui l’Ue lascia le mani completamente libere agli Stati membri. E ci mancherebbe che sia Bruxelles a decidere chi è italiano, francese o tedesco. Perchè di questo si parla: non, come scrive lui, di “entrare in Italia”, ma di “essere italiano” (anche) per legge.
Sono temi importanti, è vero. Che non possono essere lasciati “a un gruppetto di parlamentari e di politici in campagna elettorale permanente”. E infatti è il Parlamento tutto che deve discuterli, compresi i deputati e senatori a cinque stelle. Quando qualche giorno fa hanno chiesto alla capogruppo Roberta Lombardi che ne pensasse della cittadinanza a chi nasce in Italia, ha risposto: “Noi siamo favorevoli. Purché questo avvenga in una cornice di legalità”.
Allora chi è il politico in campagna elettorale permanente? Forse proprio Beppe Grillo, che al contrario di tanti grillini ancora non prende una posizione chiara in questo dibattito. In realtà l’ha svelata quando scrisse che era “senza senso”, salvo accorgersi oggi che un senso ce l’ha. Tanto da appellarsi a un referendum, meglio ancora a un plebiscito, per poter dire a tutti, a seconda dell’idea che vince, come la pensa.
Elvio Pasca