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Hein (Cir): “Domande d’asilo dalla Libia per fermare le stragi del mare”

Il direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati: “L’Italia può muoversi subito senza aspettare l’Europa. Il reato di clandestinità non c’entra nulla col naufragio. Dare la colpa a Kyenge o Boldrini è un’idiozia”

Roma – 8 ottobre 2013 – “C’è un cambiamento in atto. Tra i 25mila arrivati via mare da gennaio sono diminuiti sensibilmente i migranti per motivi economici, perché l’Italia è meno attrattiva per chi cerca lavoro, mentre sono sempre di più le persone che hanno bisogno di protezione. È un trend in crescita e come numero di sbarchi siamo ormai vicini alla situazione delle primavere arabe di due anni fa”.

È l’analisi di Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati. “Sui barconi –spiega a Stranieriinitalia.it – ci sono meno persone che arrivano dall’Africa Occidentale, come ghanesi e nigeriani, ma sempre più dal Medio Oriente, soprattutto siriani, e dal Corno d’Africa. Anche nel naufragio di giovedì a Lampedusa erano per lo più eritrei, e gli eritrei una volta qui ottengono quasi sempre la protezione internazionale”.

È cambiato qualcosa anche nei paesi di transito?
“Sappiamo che alcune zone marittime della Libia non sono sotto i controllo del governo centrale, ma di milizie armate. Non si può escludere che ci sia una commistione con trafficanti, più di quanto non avvenga con la Polizia libica. Sotto Gheddafi c’era una volontà politica ad aprire o chiudere i rubinetti di questi flussi, in questo periodo regna invece il caos. Anche i centri di detenzione in alcuni casi sono controllati dal governo libico, in altri dalle milizie”.

E c’è differenza tra le due gestioni?
“Poca. Le condizioni sono catastrofiche in entrambi i casi, ma almeno con il governo si può parlare, con le milizie no. Le organizzazioni umanitarie provano ad accedere a questi centri, ma ce ne sono alcuni come a Bengasi o al centro sud assolutamente inavvicinabili”.

L’Italia cosa può fare, subito, per fermare le stragi del mare?
“Può farsi promotrice di un cambiamento di politica e normativa a livello europeo, facendosi però per prima avanti per trascinare gli altri. Ad esempio a Tripoli, con regole certe, si potrebbe aprire la possibilità di chiedere protezione dalla Libia attraverso la nostra ambasciata e ottenere un visto di ingresso per l’Italia. Sarebbe un passo importante”.

E si può fare subito, senza riforme?
“Sì, il codice delle frontiere Schengen già prevede la possibilità di rilasciare visti umanitari. Hanno valore solo nazionale, quindi chi arriva non potrebbe spostarsi in altri Paesi dell’Ue, ma nel semestre di presidenza europea l’Italia potrebbe preparare il terreno perché anche altri facciano lo stesso. Del resto l’Italia si occupa di più della Libia di altri, anche per interessi economici. Tocca a noi muoverci per primi”.

A livello europeo che si può fare?
“Innanzitutto una modifica alla nuova direttiva sull’asilo in modo che la domanda di protezione non possa essere presentata solo alla frontiera o sul territorio europeo, ma anche in un Paese Terzo. Poi esigere con più energia, nei negoziati con i Paesi di transito, che vengano rispettati i diritti elementari di queste persone. Infine una sorveglianza più efficace, ma per salvare vite, non per fare respingimenti: non è possibile che una nave con cinquecento persone arrivi a ottocento metri dalle nostre coste senza che nessuno se ne accorga”.

Non andrebbe cambiato il regolamento di Dublino, che obbliga il paese di ingresso a farsi carico della richiesta di asilo?
“Su questo fronte non sono ottimista. Il regolamento è stato riformato pochi mesi fa, dopo quatto anni di confronto, mantenendo quell’approccio. Non credo ci siano grosse chance di riaprire quel dossier. Si potrebbe però lavorare sulla libera circolazione di chi ha ottenuto la protezione. Oggi, un eritreo che ottiene in Italia lo status di rifugiato deve aspettare cinque anni, e diventare un “lungosoggiornante”, prima di potersi stabilire e lavorare in un altro stato dell’Ue”.

Chi arriva in Italia dove vuole davvero andare?
“Questo varia in base alla nazionalità. Sappiamo, ad esempio, che i siriani in Italia non hanno mai avuto una vera comunità, mentre ce ne sono in Svezia, in Germania, o in altri Paesi d’Europa. Oltre la metà degli 8 mila siriani arrivati quest’anno non vuole fermarsi in Italia, eppure, anche se otterranno protezione, dovranno rimanere qui per almeno cinque anni”.

Riguardo alle polemiche di questi giorni: con la strage di Lampedusa c'entra il reato di immigrazione clandestina?
“No. Con o senza il reato di ingresso e soggiorno illegale quelle persone sarebbero partite lo stesso per l’Italia, e non è nemmeno il caso di dare colpe per il naufragio alla Bossi-Fini, che pure andrebbe riformata. Il fatto che i sopravvissuti saranno oggetti di un procedimento penale è però vergognoso”.

E le accuse leghiste a Boldrini e Kyenge, che con il loro atteggiamento farebbero aumentare i viaggi della speranza?
“Sono un’idiozia. Dire che l’Italia diventa più attrattiva per chi fugge a guerre e persecuzioni dopo i pronunciamenti di Boldrini o Kyenge è assolutamente fuorviante. Vuol dire non avere idea di chi sono le persone delle quali stiamo parlando. Vuol dire non sapere che ci sono donne che arrivano qui incinte perché durante il percorso di quattromila chilometri che sono state costrette a fare per trovare salvezza vengono ripetutamente stuprate. Figuriamoci se fanno dei distinguo su quello che dicono i nostri politici”.

Elvio Pasca
 

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