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Referendum dei Radicali: “Meno tempo nei Cie e regolarizzazione”

I Radicali italiani depositano in Cassazione due quesiti per cancellare le norme introdotte dalla legge Bossi-Fini e dal pacchetto sicurezza del 2009. “Sono criminogene e costringono i migranti al ricatto dei datori di lavoro”. Parte la raccolta delle firme

Roma – 10 aprile 2013 – Limitare al massimo a sessanta giorni la permanenza degli immigrati irregolari nei centro di Identificazione ed espulsione e cancellare l’accordo di integrazione e il contratto di soggiorno, spezzando il vincolo, introdotto dalla legge Bossi-Fini, tra contratto di lavoro e permanenza in Italia.

È l’obiettivo di due dei sei referendum depositati stamattina dai Radicali italiani alla corte di Cassazione. Gli altri riguardano l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, l’introduzione del divorzio breve, la depenalizzazione dei reati legati all’uso di droghe leggere e la ripartizione tra le confessioni religiose dell’8 per mille dei contribuenti che non hanno espresso una scelta.

“Sull'immigrazione – spiegano i Radicali italiani – chiediamo di essere Europa. Vogliamo l'abolizione di quelle norme criminogene che impegnano tanta parte delle nostre forze di polizia, a partire dall'imposizione dei Centri di identificazione ed espulsione che devono identificare e non costituire una nuova prigione sine die, e che rendono precaria e ricattabile la condizione del lavoratore migrante”.

“Chiamiamo alle ''armi'' democratiche chi vuole riformare lo Stato mettendo al centro le persone e non i partiti, eliminando leggi che bloccano la giustizia e criminalizzano fenomeni sociali quali l'immigrazione e il consumo di stupefacenti e che fanno impiegare tre anni per chiedere un divorzio" ha spiegato stamattina il segretario dei Radicali italiani Mario Staderini.

In particolare, il primo quesito vuole cancellare le norme, introdotte dal centrodestra, che hanno prorogato da due a diciotto mesi il trattenimento degli immigrati nei Cie. “Con i con costi enormi per lo Stato, 18 milioni e 607 mila euro nel solo 2012, per coprire unicamente i costi di servizi all'interno dei centri, con risultati fallimentari e violazione di diritti umani” sottolineano i promotori, secondo i quali 60 giorni sono “sufficienti nella maggior parte dei casi a comprendere se l'identificazione è realmente possibile”.

L’altro quesito colpisce invece le norme “che costringono centinaia di migliaia di migranti al ricatto continuo dei datori di lavoro (creando l’effetto “concorrenza sleale” con i lavoratori italiani) oppure che li obbliga al lavoro nero o al servizio della microcriminalità”.

Il referendum infatti prevede l’abrogazione degli articoli 4 bis e 5 bis del testo unico immigrazione  (accordo di integrazione e contratto di soggiorno) “entrambi incidenti sul permesso di soggiorno perché legano indissolubilmente la possibilità di restare nel nostro paese – anche di cittadini da anni in Italia – alla stipula di un contratto di lavoro”. Se vincessero i sì, secondo i radicali italiani sarebbe possibile la “regolarizzazione di almeno 500 mila lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno già attivi in Italia”.

Il cammino delle due proposte  è appena iniziato, la strada è lunga e non è detto che arrivi al traguardo. Ora che i referendum sono stati depositati in Cassazione, inizierà infatti la raccolta delle firme: ne servono 500 mila sotto ogni quesito perché si possano chiamare alle urne gli italiani.

Elvio Pasca

 

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