Roma – 21 maggio 2012 – Pochi italiani, probabilmente, conoscono l’attestato di idoneità alloggiativa (o abitativa). Questo documento, rilasciato dal Comune, è però famosissimo tra gli immigrati, perché indispensabile per portare in Italia mariti, mogli o figli.
Il testo unico sull’immigrazione prevede infatti che chi chiede un ricongiungimento familiare abbia un reddito sufficiente a mantenere chi porta in Italia, ma anche un “alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa”. Questi devono essere “accertati dai competenti uffici comunali”.
Le nuove norme sulle autocertificazioni avevano creato, però, un po’ di confusione. Dal primo gennaio, gli uffici pubblici non possono più rilasciare certificati da esibire ad altri uffici pubblici, che potrebbero verificare da soli le informazioni richieste. Ma come regolarsi con l’idoneità alloggiativa? Può essere autocertificata?
“No”, ribadisce oggi il ministero dell’interno. “L’attestato di idoneità abitativa previsto dall’art.29, del d.lgs. 25 luglio 1998, n.286 – spiega una circolare – concretizzandosi in un’attestazione di conformità tecnica resa dagli Uffici comunali non assume la natura di certificato e, pertanto, non può essere sostituito con autocertificazione”. Gli uffici comunali svolgono infatti degli “accertamenti di carattere puramente tecnico”.
In altre parole, solo il Comune può dire se un alloggio è idoneo oppure no, e deve scriverlo sugli attestati da presentare allo Sportello Unico sull’immigrazione per il ricongiungimento familiare. Su questi, aggiunge il Viminale, non deve comparire nemmeno la dicitura “il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi”.
Elvio Pasca