Roma 4 maggio 2014 – “Voglio i miei anni di lavoro in Italia. È il mio diritto”. Questo si leggeva ieri sul grande cartellone appeso al collo di un anziano signore fermo in piedi sotto il sole davanti a Montecitorio
Lui è Madrit Maliqati di Kavaja (Albania), ha 70 anni e quattro by pass, e dopo aver lavorato per 12 anni in Italia, nel 2005 è tornato in patria per motivi di salute. Questa è la sua protesta contro la legge che non gli riconosce una pensione e non gli dà indietro i contributi versati. Per la normativa oggi in vigore, Madrit Maliqati non può né pretendere di accumulare ai fini della pensione i 27 anni di lavoro in Albania durante il regime con i 12 di lavoro in Italia, né vedersi riconosciuta una minima pensione per i soli 12 anni di lavoro in Italia.
Nel primo caso, “i lavoratori extracomunitari assunti dopo il 1° gennaio 1996, possono percepire, in caso di rimpatrio, la pensione di vecchiaia (calcolata col sistema contributivo) al compimento del 66° anno di età e indipendentemente dall’aver maturato i requisiti previsti (dunque, anche se hanno meno di 20 anni di contribuzione)”. Ma purtroppo questo non è il caso dell’ anziano signore che sta protestando.
Nel secondo caso, “i lavoratori extracomunitari assunti prima del 1996 possono percepire, in caso di rimpatrio, la pensione di vecchiaia (calcolata con il sistema retributivo o misto) solo al compimento del 66° anno di età sia per gli uomini che per le donne e con 20 anni di contribuzione”. E proprio in questa categoria di lavoratori rientra anche Madrit Maliqati.
Dall’altro canto, tra l’Italia e l’Albania manca quel benedetto accordo che permetterebbe ai lavoratori, sia italiani che albanesi, con attività lavorativa nei due paesi, di sommare i periodi di lavoro ai fini della pensione.
E questo accordo, utile per migliaia e migliaia di albanesi in Italia, sembra ancora in alto mare. Un timido, piccolo, primo passo è stato fatto a metà maggio con l’incontro del ministro albanese del Welfare Erion Veliaj col suo omologo italiano Giuliano Poletti a Roma. Ma l’unica cosa certa che si può dire è che la strada sarà lunghissima e travagliata. Addirittura qualcuno che la sa lunga in materia di diritti pensionistici dice che “sarà più facile che l’Albania entri in Europa e goda quindi dei diritti comunitari anche ai fini della previdenza sociale, che vedere l’Italia sottoscrivere tale accordo”.
Keti Biçoku
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