La stima delle ritenute versate dagli iscritti stranieri, ma mancano dati precisi. I sindacati: "Assisterli costa di più"
Roma – 11 maggio 2010 – Quanto “fruttano” gli immigrati ai sindacati? Isolare questo dato può sembrare una forzatura considerando che si tratta di organismi che tutelano il lavoratore indipendentemente dalla sua nazionalità. Ma la domanda – anche se non sempre piace ai diretti interessati – potrebbe essere legittima visto che l’immigrato di fatto ricorre al sindacato come un lavoratore con esigenze specifiche in quanto straniero. E sapere quanto versa nelle casse sindacali può dare un’idea di quanto conta o dovrebbe contare.
A ogni modo si tratta di un’informazione che non tutti gli organismi di tutela danno. “Di fatto il dato non c’è – dice Piero Soldini – ma i conti da fare non sono molto difficili. Basta calcolare l’1% di uno stipendio medio lordo – che è circa di 1200 euro -, moltiplicare per 13-14 mensilità (dipende dai contratti) e poi per il numero degli iscritti. Visto che qualcuno si iscrive a metà anno e qualcuno è precario e non ha busta paga, potremmo considerare circa 100 euro per ogni iscritto, anche meno”. Dunque alla Cgil i 380mila tesserati stranieri dovrebbero fruttare 38 milioni di euro.
La Cisl è più diretta ma fa sapere un dato parziale perché rivela ciò che entra in cassa alla confederazione, isolando la quota che resta in tasca alle singole federazioni di categoria. “Ad oggi, arrotondando per difetto, dice Liliana Ocmin, segretario confederale della Cisl con delega al settore immigrazione -, e considerando un costo tessera medio che va alla confederazione di 14,5 euro annui ciascuno, la Cisl riceve dagli immigrati circa 5 milioni di euro all’anno”. Ma in realtà anche la Cgil potrebbe fare lo stesso discorso, perché dell’1% versato dai tesserati, il 76% va alla categoria di appartenenza e 24% alla confederazione.
Per la Uil i calcoli devono tenere conto delle 48.601 seconde affiliazioni che – come abbiamo detto – fruttano ognuna da 0 a 30 euro all’anno. Dall’ufficio organizzazione della Uil dicono che anzitutto le trattenute variano dallo 0,60 all’1% e che non è il caso di fare calcoli perché la cifra sarebbe troppo approssimativa e toccherebbe fare la smentita di un dato che comunque al momento non possiedono. “Comunque – tengono a sottolineare – nulla di ciò che versano gli stranieri entra nelle casse della confederazione. Tutto resta alle singole categorie”. A ogni modo – come Soldini –anche il coordinatore nazionale del dipartimento politiche migratorie della Uil Giuseppe Casucci parla di “una media di100 euro l’anno a iscritto dipendente”.
Quanto alla Ugl, non essendoci una distinzione tra iscritti italiani e stranieri, i calcoli non si possono fare. Mentre il Sei Ugl, dice Luciano Lagamba, chiede 30 euro a tessera di cui 10 vanno al sindacato. I restanti 20 restano a mo’ di stipendio ai volontari stranieri che si occupano delle iscrizioni e della gestione delle strutture territoriali”.
Considerando, come azzardano Soldini e Casucci, 100 euro a iscritto, verrebbe fuori che gli immigrati fruttano ai sindacati fino a 100 milioni di euro ogni anno. Ma con i dati a nostra disposizione un totale preciso non si può calcolare: alcuni iscritti – come a volte capita nel settore agricolo – sono lavoratori stagionali, alcuni hanno tredicesima e quattordicesima, altri no e poi ci sono i precari e le seconde affiliazioni. Persino l’1 percento delle trattenute su cui ci siamo basati, in realtà non è uguale per tutte le categorie.
A chi volesse azzardare un calcolo complessivo diciamo, citando Giovanni Mottura docente di Sociologia del lavoro dell’Università di Modena e appassionato studioso del rapporto tra sindacato e immigrazione, che “i numeri riguardanti i sindacati vanno presi con le molle”.
Certo è che la cifra è alta, ma – a dire dei sindacati – altrettanto se non più alti sono i costi sostenuti per i lavoratori immigrati. “Gli iscritti stranieri per noi hanno un grande valore politico – dice Kurosh Danesh, coordinatore del comitato nazionale immigrati della Cgil -, ma non certo economico, col lavoro che svolgiamo per loro ci rimettiamo tanto. Lo facciamo perché vogliamo investire nella consapevolezza che la società sta cambiando”. A dire di Luciano Lagamba anche per l’Ugl il saldo è negativo, ma “l’importante è soddisfare i bisogni”.
I conti dei patronati
I patronati sono istituti creati per assistere e rappresentare i cittadini nei loro rapporti con le istituzioni, con gli enti di previdenza sociale e per informare sui diritti. I loro servizi sono gratuiti.
Sono finanziati attraverso il contributo pubblico, grazie a un fondo specifico accantonato presso gli istituti di previdenza (Inps, Inpdap, Inail e Ipsema). Tale fondo è composto da una percentuale dei contributi versati dai lavoratori dipendenti in ogni anno. Il finanziamento viene ripartito tra i patronati in proporzione all’attività svolta, dietro verifica del Ministero del lavoro. Delle mansioni di cui il patronato si prende carico solo una parte sono rimborsabili, ovvero quelle che fanno parte (una sessantina) del cosiddetto ‘paniere di attività’. Ad ogni attività corrisponde un punteggio, che viene riconosciuto a condizione che la pratica abbia avuto esito positivo. “A ogni punto – spiega Carlo Comel dell’ufficio organizzazione e statistica dell’Inca-Cgil – corrispondono circa 50 euro. Ma delle attività svolte dall’Inca il 23% rientra nel paniere, mentre il 77% hanno punteggio ‘0’in generale”.
Il rinnovo dei titoli di soggiorno e i ricongiungimenti fanno parte del paniere solo a partire dal 2009 e valgono 0,60 punti – 0,35 per la lavorazione della pratica e 0,25 per l’invio telematico. Quindi parliamo di quasi 30 euro per ogni pratica chiusa positivamente. I permessi fatti all’Inca nel 2009, fa sapere Enrico Moroni, responsabile immigrazione del patronato, sono circa 130mila. Sono 108 quelli con esito positivo dell’Inas-Cisl (di cui 88mila presentate nel 2009 e 20mila prima di quell’anno). E all’Ital-Uil parlano di circa 53mila permessi all’anno. Sui ricongiungimenti non tutti hanno dati definitivi, ma giusto per avere un’idea, nel 2009 l’Inca ne ha rilasciati 8.300, mentre l’Inas ha aperto quasi 7mila pratiche.
Far diventare queste pratiche una voce attiva nel bilancio dei patronati non è stato un passaggio lineare e scontato. La legge 152 del 2001 inserisce tra le funzioni istituzionali di questi enti anche l’"attività di informazione, di assistenza e di tutela" a favore di cittadini "stranieri e apolidi presenti nel territorio dello Stato”, per il "conseguimento di prestazioni di qualsiasi genere in materia di immigrazione". Ma fino al 2009 per queste attività – gratuite per il cittadino – lo Stato non riconosceva alcun rimborso ai patronati. Dunque il nuovo regolamento è stato una conquista importante, passata attraverso i protocolli per l’assistenza su permessi e ricongiungimenti siglati nel 2006 e nel 2007 da Ministero dell’Interno e patronati.
“Lavoro non ricompensato”
“Attenzione però – ribadisce Comel – il lavoro per i permessi non viene comunque ricompensato considerando l’assunzione di persone nuove e la loro formazione. Non parliamo dell’attività svolta prima del 2009. Un esempio? Solo in Lombardia per i flussi del 2007 l’Inca ha speso oltre 1 milione di euro di cui è rientrata circa la metà visto che molte delle pratiche allora aperte sono state chiuse lo scorso anno. “Le domande nell’ambito del decreto flussi pervenute all’Inca sono state circa centomila – dice Moroni – e un migliaio le persone dirottate e formate per gestirle. Per la sanatoria delle badanti nel 2009 le domande sono state 33mila e anche in quel caso l’intera gestione economica spettava esclusivamente a noi”.
Secondo Antonino Cosentino dell’Enas-Ugl, addirittura il 99% dell’attività da loro svolta per gli immigrati non è finanziabile: insomma vanno a rimetterci. “Se facessimo i calcoli potremmo dire che non c’è convenienza – commenta anche Enrico Moroni – ma noi non abbiamo fatto e non stiamo facendo tutto il lavoro per convenienza ma perché è giusto e naturale dare assistenza agli immigrati gratuitamente. Per intenderci, lo faremmo anche se il Ministero decidesse di sospendere i rimborsi per ricongiungimenti e permessi”.
“Quando un immigrato viene da noi per rinnovare il titolo di soggiorno – spiega Moroni – cerchiamo di farci un’idea della situazione generale di quel cittadino per potergli offrire il massimo aiuto in ogni campo della sua vita sociale. Diamo magari un’occhiata al suo contratto di lavoro per vedere se viene rispettato oppure tentiamo di capire se ha usufruito di vari altri diritti e lo informiamo delle opportunità che ha: corsi di lingua, bandi case popolari, bonus bebè, asili nido, scuola, servizio sanitario nazionale, idoneità alloggiativa, ecc. Il problema più grave con gli stranieri – sottolinea Moroni – è proprio la disinformazione”.
“Bisogna trattare complessivamente la vita della persona che si rivolge a noi – conferma Marta Farfan, responsabile immigrazione dell’Inas – ci sono tanti aspetti da trattare e spesso l’utente neppure lo sa, come nel caso di assegni familiari o di disoccupazione, iscrizione anagrafica, maternità, tfr, diritto alla pensione – che può essere il risultato del lavoro svolto in due paesi diversi. Tra l’altro oggi con noi lavorano anche molti cittadini stranieri che non sono specializzati per trattare solo i problemi degli immigrati, ma sono preparati per gestire questioni di qualsiasi ambito”.
Insomma, l’assistenza a 360° sembra essere una prerogativa di tutti i patronati. Anche perché – oltre al buon senso e all’altruismo – i soldi che per questi servizi non entrano attraverso i finanziamenti, si spera entrino attraverso le tessere sindacali, non certo obbligatorie, ma certamente auspicate.
Antonia Ilinova
Immigrati e sindacato. 2a puntata
Leggi anche la 1a puntata: "Oltre un milione di immigrati iscritti al sindacato"