(ANSA) – MILANO, 22 MAR – Per la prima volta in Italia si è cercato di stimare il numero di casi di mutilazioni genitali femminili: sarebbero un centinaio le donne che vivono in questo stato a Brescia e circa 120 a Milano. Ma per gli operatori sanitari accorgersi del problema è sempre più difficile: gli attuali sistemi di operazione sommaria sono meno invasivi rispetto al recente passato. Lo afferma una ricerca condotta dalla Fondazione iniziative e studi sulla multietnicità (Ismu). Secondo lo studio di uno degli istituti più accreditati nelle ricerche sull’immigrazione, non è possibile stabilire il numero delle mutilazioni genitali femminili partendo dalle testimonianze delle comunità straniere maggiormente coinvolte, che pure sono state interpellate. "Vi sono testimonianze secondo le quali un quarto delle donne egiziane e la totalità delle somale che vivono in Lombardia sono state sottoposte a queste mutilazioni – afferma la ricerca – mentre altre parlano di valori assoluti assai più ridotti". I ricercatori sono quindi partiti da interviste effettuate tra gli operatori sanitari della provincia di Milano e di Brescia, applicando medie ponderate al territorio di riferimento e alla presenza di immigrazione. "L’indicazione è di un centinaio di donne sopra i 15 anni con mutilazioni nel bresciano e quasi 120 a Milano a luglio 2005", afferma lo studio. Si tratta però dei casi più visibili, mentre talvolta "processi non consapevoli di rimozione tendono a celare agli occhi degli stessi operatori sanitari" le forme più lievi del fenomeno. Anche perché le operazioni praticate sarebbero sempre meno invasive, anche se sempre gravissime dal punto di vista personale, sanitario e psicologico. Secondo le operatrici di ginecologia e ostetricia interpellate, che spesso raccolgono le spiegazioni e i drammi delle pazienti, si stanno diffondendo anche sistemi di parziale anestesia, mentre non cambia un dato importante, anche dal punto di vista culturale: a ‘operare’ donne e bambine sono quasi sempre uomini. "Molte ricerche empiriche svolte sia su scala nazionale sia regionale – afferma Nicola Pasini, curatore della ricerca e docente di Scienze politiche all’Università degli studi di Milano – hanno fatto emergere che dal punto di vista dell’incontro tra domanda e offerta sanitaria sono gli immigrati che incontrano le difficoltà maggiori nell’accesso alle strutture sanitarie del Paese ospitante e quindi, prima ancora che a un problema di carattere etico-giuridico circa il diritto alla salute e all’assistenza sanitaria, siamo di fronte a un problema di carattere culturale e psicologico. I casi che abbiamo di fronte sono molteplici: le mutilazioni genitali femminili rappresentano solo l’esempio più estremo", conclude Pasini. (ANSA). 2007-03-22 14:44
(22 marzo 2007)