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Immigrazione e campagna elettorale: quando i dati smentiscono i politici

Roma, 6 settembre 2022 – Chi è un immigrato? Perchè in campagna elettorale si torna sempre a parlare di immigrazione? Come mai in Italia questo tema è affrontato con un approccio emergenziale e non strutturale, considerando gli arrivi annuali? Perchè molti politici strumentalizzano la questione? Le domande da farsi a meno di un mese dalle elezioni sono tante. Ma ancora di più, lo è cercare di capire cosa i politici pretendono di raccontarci, e cosa invece la realtà ci propone. E in questo i numeri possono dimostrarsi fondamentali.

Immigrazione, l’analisi dei numeri

Come ha spiegato il direttore Marco Trovato in un suo editoriale pubblicato su Rivista Africa, “nell’immaginario collettivo, la parola “immigrato” evoca una persona povera e dalla pelle scura che sbarca sulle coste italiane. Eppure la gran parte degli immigrati non è giunta via mare e i subsahariani rappresentano solo il 15% degli stranieri in Italia (le comunità più numerose provengono da Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina). Il linguaggio tradisce gli stereotipi, come avviene del resto con il termine “extracomunitario” (non appartenente all’Ue), che mai verrebbe associato a uno svizzero o statunitense“. Analizzando i numeri, infatti, è facile scoprire che meno di un immigrato su tre è musulmano.

Nonostante questo, però, molti politici non si trattengono dall’esprimere la propria paura nei confronti della cosiddetta “invasione islamica” e della presunta “sostituzione etnica”. “Sono i numeri a smentirli: nel 2021 gli arrivi sono stati 67.040, nulla di inaudito (nel 2014-18 se ne registrarono tra i 110.000 e i 180.000 l’anno)”, ha sottolineato infatti Trovato.

Quello che più dovrebbe scandalizzare non sono i numeri, non sono i luoghi di provenienza, ma il rischio che molte persone decidono consapevolmente di correre. Negli anni, infatti, anche quando sono stati registrati meno sbarchi, sono aumentate le morti. E gli accordi siglati dal governo italiano con la Libia, così come quelli firmati tra le autorità europee e la Turchia, si sono dimostrati un vero e proprio disastro, perchè non viene rispettata la tutela dei diritti umani. Questo, ormai, dovrebbe essere chiaro agli occhi di tutti. Sono stati alzati muri spinati ai confini, viene utilizzata la forza per respingere i migranti. “Sbraitano contro “l’invasione dei migranti” a dispetto dell’evidenza. In Italia abbiamo circa cinque milioni e mezzo di stranieri, una quantità largamente assorbibile.

Peraltro equiparabile al numero di italiani emigrati e attualmente residenti all’estero. L’Italia non ha problemi di invasione, semmai di… evasione dei suoi giovani. Oltretutto chi arriva nel nostro Paese non è il più povero: il viaggio costa, è un investimento che in pochi possono permettersi.”

Alcuni dati

Tra l’altro, circa il 93% degli emigrati subsahariani tenta di non lasciare il suo continente. Prima di intraprendere il viaggio nel Mediterraneo, infatti, cerca fortuna in altri Paesi africani, se non addirittura nella propria regione. “Sudafrica, Nigeria e Costa d’Avorio sono più attraenti e facili da raggiungere, ma la sindrome dell’assedio di cui soffriamo stravolge la nostra percezione. Il guaio è che nel dibattito pubblico il fenomeno migratorio viene spesso ridotto ad argomento da rissa. Contano le urla isteriche, la propaganda intrisa di pregiudizi, le fake news. C’è da scommetterci: passata l’emergenza sanitaria, ritorneranno le speculazioni politiche sulla minaccia straniera. Ci ostiniamo a interrogarci su come frenare l’arrivo dei migranti. Ma la domanda da porci è un’altra: possiamo fare a meno di loro? La risposta è no.

Gli studi demografici ci ricordano che l’Italia (la cui popolazione, 46,7 anni di età media, è la più vecchia d’Europa) ha un tasso di natalità ai minimi storici e necessita di nuovi ingressi costanti per compensare la riduzione della popolazione attiva“.

Inoltre, quindi, c’è un altro elemento da non sottovalutare: il nostro è un Paese vecchio e con poca manodopera. “Già oggi, interi comparti produttivi stanno in piedi grazie alla manovalanza immigrata: pensiamo ai settori agroalimentare, edile e manifatturiero. Pensiamo ai riders, ai corrieri dell’e-commerce, alle “badanti” (sono un milione e mezzo, quasi tutte donne straniere: se non ci fossero loro, il nostro welfare collasserebbe). Sebbene agli immigrati siano in genere riservate le mansioni meno qualificate e retribuite, il loro contributo alla crescita della ricchezza nazionale vale un tesoretto: oltre 8 punti di Pil. Non solo. Gli immigrati versano ogni anno 8 miliardi di contributi sociali e ne ricevono solo 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali.

Gli imprenditori lamentano la carenza di manodopera per spingere la ripresa. Servirebbero almeno 160.000 (secondo gli studi più prudenti) nuovi ingressi annui di lavoratori stranieri. Ma l’ultimo decreto flussi ne prevede 27.700 (più 42.000 a termine dedicati al lavoro stagionale)”.

Fermare l’immigrazione è impossibile: spostarsi è una caratteristica dell’uomo. Volerla impedire, poi, comporta esclusivamente la necessità di trovare vie illegali e ancor meno sicure. Sia durante il percorso, che una volta giunti a destinazione. “I rimpatri forzati, infine, non funzionano: costano troppo, mancano accordi di riammissione con i Paesi di origine e non frenano la voglia di partire né di riprovarci.” Non parliamo poi del famoso “aiutiamoli a casa loro”: “le migrazioni non sono una patologia, curabile con lo sviluppo. Oltretutto gli studi sul fenomeno sono chiari: la crescita del reddito medio fa aumentare – quantomeno nelle prime fasi di sviluppo – la propensione a emigrare. Dovremmo semmai scongiurare le migrazioni forzate, evitando di saccheggiare materie prime e terre fertili dei Paesi poveri, o vendere armi che alimentano guerre, o finanziare regimi sanguinari“.

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