Roma – 29 aprile 2014 – Gli imprenditori migranti, insieme alle donne e ai giovani, possono traghettare l’Italia fuori dalla crisi. Le loro imprese rivitalizzano aree delle nostra città con la moltiplicazione di punti vendita” e sono “veri e propri presidi socioeconomici sui territori”. Sono tra le “figure sociali del nuovo vigore” indicate da un rapporto presentato ieri dal Censis.
E’ più alta nella crisi, sottolineano i ricercatori, la propensione dei migranti a creare imprese”. Nel 2012 erano 379.584 gli imprenditori nati all’estero che lavorano in Italia, con una crescita del 16,5% tra il 2009 e il 2012 e del 4,4% nel solo ultimo anno: tutto questo mentre le imprese gestite dagli italiani diminuiscono del 4,4% nei quattro anni considerati e dell’1,8% nel solo ultimo anno.
L’imprenditoria straniera rappresenta l’11,7% del totale, ma nelle costruzioni sono il 21,2% del totale e nel commercio al dettaglio il 20%. Ci sono poi 85.000 stranieri censiti dall’Istat nell’indagine sulle Forze lavoro che lavorano in proprio e hanno dipendenti (italiani e/o stranieri): unità produttive che negli ultimi quattro anni, mentre quelle di italiani diminuivano del 3,6%, sono aumentate del 14,3%. Altro fenomeno che indica una evidente stabilizzazione è il passaggio di proprietà di negozi, ristoranti e bar italiani a stranieri, soprattutto cinesi.
Gli esercizi commerciali vengono indicati dal Censis come “un caso esemplare relativamente all’evoluzione della soggettività degli stranieri in ambito economico e al suo impatto sul contesto”.
Dal 2009 in negozi degli italiani sono diminuiti del 3,3%, mentre i titolari stranieri sono cresciuti del +21,3% nel comparto al dettaglio (gli esercizi commerciali a titolarità straniera sono 120.626) e del 9,1% nel settore dell’ingrosso (21.440 in tutto). A livello locale, in valore assoluto a Roma si registrano quasi 10.000 negozi nella provincia e oltre 7.000 nel capoluogo; la presenza straniera supera di gran lunga la media a Pisa dove i negozi gestiti da immigrati rappresentano il 35,4% del totale, Catanzaro (il 34,5%), Caserta (32,7%), Prato e Pescara con quote superiori al 30%.
Quanto alla nazionalità dei proprietari degli oltre 120.000 negozi attivi, oltre 40.000 sono gestiti da marocchini e più di 12.000 da cinesi e senegalesi.
Il mercato di riferimento, nota il rapporto, non sono più solo i connazionali, piuttosto si è in presenza di esercizi che fanno dell’ibridazione il loro punto di forza, come ad esempio i take away gestiti da arabi che offrono pizza e kebab, i supermercati gestiti da stranieri che vendono prodotti nostrani accanto a prodotti etnici, e hanno clienti che vengono da ogni parte del mondo; oppure di esercizi che si sono sostituiti a quelli italiani e che hanno come clienti prevalentemente gli italiani, come nel caso dei cinesi che vendono di tutto a un euro, agli egiziani che vendono la frutta, o ai bar che si sono specializzati nel cappuccino nostrano; o ancora negozi etnici che sono diventati attraenti anche per gli italiani.
Altra tipologia che si sta affermando è quello dei minimarket gestiti da stranieri, bazar che vendono di tutto in una piccola superficie.
Il Censis stima in oltre 33 milioni gli italiani che dichiarano di effettuare acquisti presso negozi etnici, di prossimità gestiti da cinesi, persone del bangladesh, indiani ecc.; di questi oltre 6 milioni lo fanno regolarmente per almeno un prodotto/servizio. In particolare, acquistano con regolarità in tali negozi oltre 2,6 miloni prodotti alimentari, oltre 2,3 milioni frutta e verdura, quasi 3,5 milioni prodotti casalinghi, oltre 2,3 milioni sapone e detersivi.
Oltre il 62% degli intervistati si recano presso i negozi di prossimità gestiti da migranti perché i prezzi sono convenienti, il 34% perché vi si trovano prodotti altrove introvabili e per oltre il 22% per la comodità di orario (non a caso sottolineato dalle donne con oltre il 24%).