Roma – 17 luglio 2014 – “Negli ultimi 14 anni, mi sono diplomato alle superiori e al college e ho costruito una carriera come giornalista, intervistando le persone più famose. A prima vista, mi sono creato una buona vita. Ho vissuto l’American Dream. Ma sono ancora un immigrato senza documenti e questo significa una realtà diversa. Significa passare ogni giorno nella paura di essere scoperto”.
Nel 2011 Jose Antonio Vargas, premio Pulitzer di origine filippina cresciuto negli Stati Uniti, fece un particolare coming out. Raccontò la sua doppia vita, da un lato il successo, dall’altro il continuo tentativo, tra falsificazioni e bugie, di far sapere agli altri che era un clandestino. Chiese anche una riforma che facesse diventare cittadini americani milioni di ragazzi che si trovavano nella sua condizione.
Dopo tre anni, quella riforma non è ancora andata in porto, ma per Vargas sono scattate le manette. È successo martedì scorso, mentre cercava di imbarcarsi all’aeroporto di McAllen, in Texas, una sorta di Lampedusa d’America. Era stato lì per incontrare altri attivisti che protestano contro i rimpatri dei migranti, spesso minori non accompagnati, che cercano di attraversare il confine con il Messico.
Le guardie di frontiera non hanno trovato un visto valido sul passaporto filippino del giornalista, così lo hanno arrestato. Poco dopo è stato rilasciato e ora dovrà affrontare un processo, con il rischio, secondo i suoi avvocati piuttosto remoto, di dover abbandonare il Paese dove ha costruito la sua vita e la sua carriera.
“Mi hanno rilasciato – ha spiegato il giornalista – perché non costituisco una priorità e non sono considerato una minaccia. Neanche gli undici milioni di immigrati senza documenti che vivono in questo Paese sono, però, una minaccia”.
EP