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Inferno nei campi, condannati sedici schiavisti

Confermate le pene contro gli aguzzini di centinaia di braccianti in Puglia. “Primo processo in Italia per riduzione in schiavitù sul lavoro” Roma – 26 marzo 2009 – Lavoravano nei campi anche quindici ore al giorno, a due euro l’ora. Mangiavano poco e dormivano in casolari diroccati in condizioni igieniche penose, sotto la minaccia costante di caporali armati. Per chi si ribellava o cercava di scappare erano botte e la violenza dei caporali potrebbe essere stata anche la causa di morti e suicidi sospetti, così come di decine di sparizioni.

Centinaia di braccianti stranieri, soprattutto polacchi, hanno vissuto in questo inferno nel tavoliere delle Puglie. Nel luglio del 2006, i carabinieri di Bari, coordinati dalla Direzione distrettuale  antimafia, arrestarono 16 persone nel corso dell’Operazione ‘Terra Promessa’, seguita a quella che l’estate precedente portò alla scoperta di un accampamento, denominato ‘Paradise’ dove furono scoperti un centinaio  di “schiavi”.

Oggi la Corte di Appello di Bari ha confermato le condanne per associazione a delinquere  finalizzata alla tratta di esseri umani e alla riduzione in schiavitù per sedici dei loro aguzzini.

In primo grado, furono condannate  5 persone, 3 polacchi, 1 ucraino e 1 algerino, a 10 anni di  reclusione ciascuno. Si tratta dei principali esponenti dell’organizzazione, alcuni  dei quali sono rinchiusi in carcere. Gli altri 12 imputati furono  condannati a pene più lievi, a partire da 4 anni in su. Alcuni di  questi si trovano agli arresti domiciliari, qualcuno è libero.

Al processo si sono costituiti parte  civile due vittime polacche il cui legale ha chiesto un risarcimento  di un solo euro e la Cgil pugliese.

"La richiesta di un  euro è simbolica perchè i soldi  di questi schiavisti ci fanno schifo: non li volevamo, non li vogliamo e li vorremo mai", ha detto l’avvocato di parte civile Pio Tommaso  Caputo.  "Credo che sia il primo processo in Italia, forse anche in  Europa -ha spiegato Caputo –  per questo tipo di reato di  riduzione in schiavitù per motivi di lavoro. Altri processi li  abbiamo fatti per motivi diversi, ad esempio per riduzione in  schiavitù a fini sessuali o per accattonaggio”.

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