Roma, 17 febbraio 2012 – ”I dati emersi attraverso il lavoro della Caritas in collaborazione con il nostro Focal Point ci dicono che oltre 7 stranieri su 10 nel nostro Paese vivono in condizioni di grave disagio. Questo, unitamente al fatto che piu’ del 10% soffre di un disturbo post traumatico da stress, conferma che il concetto di cura e’ un concetto globale e va oltre il singolo intervento terapeutico. Nella popolazione immigrata è fondamentale un’attenzione altissima alla sofferenza psichica che puo’ riflettere forti disagi materiali senza dimenticare mai che anche lo sradicamento e la solitudine possono far ammalare altrettanto il corpo in quell’unita’ indivisibile che e’ la persona”.
Sono le parole di Enrico Garaci, presidente dell’Istituto superiore di Sanità, in occasione dell’undicesimo Convegno dell’Italian National Focal Point – Infectious Diseases and Migrant, in programma nell’Aula Pocchiari dell’Istituto Superiore di Sanita’.
Secondo i piu’ recenti dati dell’Area sanitaria Caritas, presentati all’Iss durante il convegno, su un campione di 391 migranti visitati nel servizio di medicina generale del poliambulatorio Caritas di Roma per persone in condizione di fragilita’ sociale (immigrati non inseriti e richiedenti asilo), il 73,65% riporta gravi difficolta’ di vita in Italia e piu’ del 10% soffre di un disturbo post traumatico da stress (Ptsd). Inoltre, per ogni difficolta’ post-migratoria in piu’, il rischio relativo di avere un Ptsd aumenta di 1,19 volte. ”Il Disturbo Post Traumatico da Stress – spiega il dott. Massimiliano Aragona, psichiatra del progetto Caritas Ferite Invisibili – porta l’individuo a vivere in uno stato emotivo di forte allarme, con pensieri intrusivi e ricorrenti delle esperienze traumatiche vissute, difficolta’ a concentrarsi, insonnia, incubi, tendenza a isolarsi per paura di subire nuove violenze, dolori e altri sintomi somatici su base psicologica.
Le persone in questo stato hanno grandi difficolta’ nella vita quotidiana; non riuscendo a concentrarsi non riescono ad apprendere e possono avere difficolta’ sul lavoro, nei casi piu’ gravi sono cosi’ spaventati che possono addirittura non andare in questura a presentare la domanda per il riconoscimento del loro status di rifugiato (ad es. perche’ la vista di una persona in divisa gli ricorda violenze subite in patria da uomini in divisa). Si comprende come queste persone siano persone vulnerabili da proteggere e curare, altrimenti possono avere serissime difficolta’ a integrarsi nel tessuto della nostra societa”’.
Su questa condizione si inseriscono le difficolta’ di vita post-migratorie che sono un fattore ritraumatizzante che fa insorgere o peggiorare i sintomi del disagio psicologico. Riguardano difficolta’ sociali, lavorative, abitative, di accesso alla salute, di discriminazione, ma anche la preoccupazione per le famiglie lasciate nel paese d’origine. Il Convegno, organizzato dall’Unita’ Operativa Ricerca psico-socio-comportamentale, Comunicazione, Formazione del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Iss, promuove il confronto tra i professionisti, i rappresentanti delle istituzioni e quanti operano nel settore della tutela della salute del paziente immigrato.