Il vincitore del premio più ambito dai giornalisti americani ha rivelato di essere arrivato negli Usa grazie a dei documenti falsi. E ora lotta per il Dream Act
Roma – 23 giugno 2011 – Jose’ Antonio Vargas è un giornalista e documentarista di origine filippina cresciuto negli Stati Uniti.
A trent’anni vanta già un premio Pulitzer e una carriera ad altissimi livelli, dalle corrispondenze dalla Casa Bianca all’intervista esclusiva strappata lo scorso settembre a Mark Zuckerberg creatore di Facebook. Il suo scoop più grande, però, l’ha fatto probabilmente ieri, quando in un lungo articolo sul New York Times ha rivelato di essere un clandestino.
Vargas è arrivato negli Usa nel 1993 all’eta’ di 12 anni, per vivere con i nonni. Quattro anni più tardi, quando chiese la patente, scoprì che i suoi documenti erano falsi. Da allora, racconta, è iniziata una doppia vita, su un binario una serie di successi personali e professionali, sull’altro una marea di bugie e di falsificazioni.
“Negli ultimi 14 anni, mi sono diplomato alle superiori e al college e ho costruito una carriera come giornalista, intervistando le persone più famose. A prima vista, mi sono creato una buona vita. Ho vissuto l’American Dream. Ma sono ancora un immigrato senza documenti e questo significa una realtà diversa. Significa passare ogni giorno nella paura di essere scoperto”.
Ora, scrive il giornalista, “sono stanco di correre. Sono esausto. Non voglio piu’ questa vita”. È uscito allo scoperto, racconta, anche per unirsi sinceramente alla battaglia per il Dream Act, una riforma caldeggiata da Obama che darebbe la cittadinanza Usa ai migliori studenti stranieri che si trovano in una situazione irregolare. Il testo si è arenato qualche mese fa al Senato.
“Si stima che ci siano 11 milioni di irregolari negli Usa. Non siamo sempre quelli che credete. Qualcuno raccoglie fragole e si prende cura dei vostri figli. Altri vanno alla scuola superiore o al college. E alcuni scrivono articoli che potete leggere. Io sono cresciuto qui. Questa è la mia casa. Anche se io mi considero un americano e considero l’America il mio Paese, il mio Paese non pensa a me come a uno dei suoi”.
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Elvio Pasca