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La carbonara di Ajit: quando l’allievo supera i maestri

E’ bangladese il capocuoco dell’Arcangelo, il ristorante romano al quale è andato il secondo premio del ‘Gambero rosso’ per la miglior carbonara

Roma 14 aprile 2008 – “La carbonara perfetta? Il segreto è nella semplicità e nella qualità dei prodotti”. E’ così che Ajit Ghosh spiega il riconoscimento conferito dal Gambero rosso al ristorante romano l’‘Arcangelo’ di cui è il capocuoco.

Meno di un mese fa infatti la prestigiosa rivista gastronomica ha dato il secondo posto del suo premio alla carbonara dello chef bangladese. Il primo è andato all’Antico Forno Roscioli a Roma, dietro i cui fornelli c’è un altro capocuoco immigrato, il tunisino Nabil Hadji Hassen. Il fatto che per il Gambero rosso i maghi della carbonara in Italia di italiano abbiano poco ha scatenato l’interesse del New York Times.

E se in America il fatto non sorprenderebbe tanto gli americani, abituati al melting pot in cucina, diverso è quando si tratta dell’Italia. Nel Belpaese – come osserva il corrispondente del quotidiano Ian Fisher – il cibo "é una cosa seria, una parte dell’identità nazionale e regionale". E alla luce di tale constatazione il giornalista ha posto una domanda legittima: con le radici estere dei cuochi “cambierà la cucina italiana? E se sì, sarà per il peggio, o – cosa ancora più sconcertante – per il meglio? E succederà a spese dell’orgoglio nazionale?".

La risposta – altrettanto legittima – degli “addetti ai lavori” nostrani non potrebbe che essere negativa. Infatti, dietro la maestria di Ajit Ghosh, oltre alla passione per la buona cucina c’è anche la buonissima scuola dei cuochi italiani. “Ajit ha appreso bene la nostra arte culinaria – racconta Arcangelo Dandini, proprietario dell’omonimo ristorante – è stato un ottimo allievo, ma soprattutto ha avuto dei bravi maestri. E’ fondamentale essere rigorosi nel rispettare le tradizioni italiane, che possono essere tramandate solo dai migliori chef dello Stivale”.

Insomma dietro al successo di Ajit c’è il connubio dell’ottima formazione e della grande passione per un mestiere che, a quanto pare, piace sempre meno agli autoctoni. Ajit ha iniziato a fare il cuoco in Germania. E’ qui dal ’96. “Ho fatto il barman – racconta -, poi mi hanno messo alla prova dietro i fornelli e ho avuto modo di imparare. Oggi faccio il cuoco più per passione che per i soldi. In tv finisco per guardare sempre i programmi di cucina”.

L’amore per la sua professione si nota già nel come racconta i segreti della sua carbonara: indispensabili i prodotti di prima scelta, il guanciale, dell’uovo va usato solo il tuorlo, poi il formaggio pecorino, un po’ di pepe, assoluto divieto per il latte e la panna. Il tutto nelle mani di Ajit, come anche in quelle dell’aiuto-cuoco – pure lui bangladese – , a quanto pare si trasforma in un capolavoro in circa 7-8 minuti. Ma al capocuoco dell’Arcangelo non manca l’umiltà: “Devo moltissimo a Gabriele Bunci, mio ex collega e maestro, e ad Arcangelo Dandini. Non è la prima volta che il ristorante viene premiato ed è merito dell’intero staff”.

“Non mi importa dei premi – dice Ajit – ma solo di soddisfare il cliente. I riconoscimenti fanno piacere, ma per me contano di più quelli ricevuti quotidianamente da chi assaggia i piatti che prepariamo. E siccome li mangio anch’io, devono piacere anche a me”.

Ajit vive a Roma con la sua famiglia. Ha insegnato anche a sua moglie i segreti della cucina italiana, ma quanto a quella indiana l’esperta è lei. “A casa il sabato mangiamo piatti tipici dell’Italia, mentre la domenica è riservata alla nostra tradizione d’origine – racconta Ajit -, ma se devo essere sincero la cucina italiana è più leggera e salutare. All’Arcangelo siamo riusciti a rendere leggero anche un piatto come l’amatriciana, tanto da essere definito da alcuni ‘light’”.

E alla faccia di ogni dubbio americano il secondo piatto che Ajit vuole consigliare e in cui si sente bravo è la trippa alla romana, anche questa tramandatagli da chi l’ha sempre trattata – alla stregua dell’amatriciana, della carbonara e compagnia bella – come un’arte vera, in cui la tradizione italiana non è mai persa di vista. 

Visita la sezione Cucina etnica.

A.I.

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La carbonara di Ajit: quando l’allievo supera i maestri

E’ bangladese il capocuoco dell’Arcangelo, il ristorante romano al quale è andato il secondo premio del ‘Gambero rosso’ per la miglior carbonara

Roma 14 aprile 2008 – “La carbonara perfetta? Il segreto è nella semplicità e nella qualità dei prodotti”. E’ così che Ajit Ghosh spiega il riconoscimento conferito dal Gambero rosso al ristorante romano l’‘Arcangelo’ di cui è il capocuoco.

Meno di un mese fa infatti la prestigiosa rivista gastronomica ha dato il secondo posto del suo premio alla carbonara dello chef bangladese. Il primo è andato all’Antico Forno Roscioli a Roma, dietro i cui fornelli c’è un altro capocuoco immigrato, il tunisino Nabil Hadji Hassen. Il fatto che per il Gambero rosso i maghi della carbonara in Italia di italiano abbiano poco ha scatenato l’interesse del New York Times.

E se in America il fatto non sorprenderebbe tanto gli americani, abituati al melting pot in cucina, diverso è quando si tratta dell’Italia. Nel Belpaese – come osserva il corrispondente del quotidiano Ian Fisher – il cibo "é una cosa seria, una parte dell’identità nazionale e regionale". E alla luce di tale constatazione il giornalista ha posto una domanda legittima: con le radici estere dei cuochi “cambierà la cucina italiana? E se sì, sarà per il peggio, o – cosa ancora più sconcertante – per il meglio? E succederà a spese dell’orgoglio nazionale?".

La risposta – altrettanto legittima – degli “addetti ai lavori” nostrani non potrebbe che essere negativa. Infatti, dietro la maestria di Ajit Ghosh, oltre alla passione per la buona cucina c’è anche la buonissima scuola dei cuochi italiani. “Ajit ha appreso bene la nostra arte culinaria – racconta Arcangelo Dandini, proprietario dell’omonimo ristorante – è stato un ottimo allievo, ma soprattutto ha avuto dei bravi maestri. E’ fondamentale essere rigorosi nel rispettare le tradizioni italiane, che possono essere tramandate solo dai migliori chef dello Stivale”.

Insomma dietro al successo di Ajit c’è il connubio dell’ottima formazione e della grande passione per un mestiere che, a quanto pare, piace sempre meno agli autoctoni. Ajit ha iniziato a fare il cuoco in Germania. E’ qui dal ’96. “Ho fatto il barman – racconta -, poi mi hanno messo alla prova dietro i fornelli e ho avuto modo di imparare. Oggi faccio il cuoco più per passione che per i soldi. In tv finisco per guardare sempre i programmi di cucina”.

L’amore per la sua professione si nota già nel come racconta i segreti della sua carbonara: indispensabili i prodotti di prima scelta, il guanciale, dell’uovo va usato solo il tuorlo, poi il formaggio pecorino, un po’ di pepe, assoluto divieto per il latte e la panna. Il tutto nelle mani di Ajit, come anche in quelle dell’aiuto-cuoco – pure lui bangladese – , a quanto pare si trasforma in un capolavoro in circa 7-8 minuti. Ma al capocuoco dell’Arcangelo non manca l’umiltà: “Devo moltissimo a Gabriele Bunci, mio ex collega e maestro, e ad Arcangelo Dandini. Non è la prima volta che il ristorante viene premiato ed è merito dell’intero staff”.

“Non mi importa dei premi – dice Ajit – ma solo di soddisfare il cliente. I riconoscimenti fanno piacere, ma per me contano di più quelli ricevuti quotidianamente da chi assaggia i piatti che prepariamo. E siccome li mangio anch’io, devono piacere anche a me”.

Ajit vive a Roma con la sua famiglia. Ha insegnato anche a sua moglie i segreti della cucina italiana, ma quanto a quella indiana l’esperta è lei. “A casa il sabato mangiamo piatti tipici dell’Italia, mentre la domenica è riservata alla nostra tradizione d’origine – racconta Ajit -, ma se devo essere sincero la cucina italiana è più leggera e salutare. All’Arcangelo siamo riusciti a rendere leggero anche un piatto come l’amatriciana, tanto da essere definito da alcuni ‘light’”.

E alla faccia di ogni dubbio americano il secondo piatto che Ajit vuole consigliare e in cui si sente bravo è la trippa alla romana, anche questa tramandatagli da chi l’ha sempre trattata – alla stregua dell’amatriciana, della carbonara e compagnia bella – come un’arte vera, in cui la tradizione italiana non è mai persa di vista. 

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A.I.

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