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La Lega dichiara guerra ai negozi degli immigrati

La deputata Comaroli: "Insegne solo in dialetto o nelle lingue dell’Ue". "Test di italiano per aprirne uno"

Roma – 23 aprile 2010 – Va bene Pizzeria, via libera a Sexy shop, ben venga Butèga. Ma Kebab no, va vietato. I leghisti lanciano una nuova crociata contro i terribili rischi del multiculturalismo.

A guidare le truppe in camicia verde è la deputata Silvana Comaroli, impegnata in commissione finanze nella conversione del decreto legge sugli incentivi. Altro che sconti e rottamazioni, secondo la leghista il rilancio dei consumi è impossibile se prima non si fa chiarezza sui nomi dei negozi.

"Le Regioni  possono stabilire che l’autorizzazione da parte dei comuni alla posa delle insegne esterne a un esercizio commerciale è condizionata all’uso di una delle lingue ufficiali dei Paesi appartenenti all’Unione europea ovvero del dialetto locale" recita un emendamento presentato dalla parlamentare del Carroccio.

Comaroli vuole anche obbligare i commercianti extraue a superare un test di italiano. "Le regioni – prevede un altro emandamento – possono stabilire che l’autorizzazione all’esercizio dell’attivita’ di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente, qualora sia un cittadino extracomunitario, di un certificato attestante il superamento dell’esame di base della lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati”.

L’esame di italiano è roba già sentita, a Prato, ad esempio, il Comune l’ha già inserito nel suo regolamento. L’emendamento sulle insegne è indubbiamente più interessante.

Chissà se passerà, intanto c’è chi si attrezza. A Grumello Cremonese, un’ insegna Döner kebab è stata già sostituita da un più familiare El bufett imbϋtid de carne.

Ester Bernabò
Elvio Pasca

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