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La magia delle Vie dell’amicizia: a Lampedusa va in scena uno spettacolo in memoria dei migranti

Roma, 11 luglio 2024 – Nella suggestiva cornice del Teatro naturale della Cava, accarezzato dalle onde del mare, si è svolta una delle serate più emozionanti del Ravenna Festival. La 28ª edizione delle Vie dell’Amicizia, iniziata a Sarajevo nel 1997 e proseguita in luoghi segnati da conflitti e sofferenze come Beirut, Gerusalemme e Damasco, ha trovato quest’anno un palco naturale a Lampedusa, dove 368 lumini accesi hanno ricordato le vite spezzate dei migranti inghiottiti dal Mediterraneo il 3 ottobre 2013.

Uno spettacolo dedicato ai migranti morti in mare

L’iniziativa, dedicata alle anime migranti che hanno cercato di approdare sulle coste italiane con la speranza di un futuro migliore, ha visto la partecipazione straordinaria del Maestro Riccardo Muti. “Questo lo sento come uno dei viaggi più significativi,” ha dichiarato Muti, esprimendo la sua vicinanza a coloro che fuggono da guerra e miseria. Con parole cariche di empatia, il Maestro ha ribadito l’importanza di non voltarsi dall’altra parte di fronte a tali sofferenze: “Porta patet sed cor magis,” la porta è aperta ma il cuore di più.

Il concerto, tenuto insieme all‘orchestra Cherubini e ad altri artisti, è stato un vero e proprio omaggio alla comunità di Lampedusa e alle sue vicissitudini. Tra le performance, il Coro a Coro delle donne salentine ha portato il suono del Sud e delle terre d’oriente, mentre la preghiera palestinese per la madre e l’Infinito di Leopardi tradotto in versi siciliani hanno aggiunto profondità al messaggio della serata. Particolarmente toccante è stata la composizione elettroacustica di Alessandro Baldessari, ispirata alla storia di Samia Yusuf Omar, la velocista olimpica somala morta durante la traversata verso l’Europa.

Nel cuore dell’evento, lo struggente Stabat Mater di Giovanni Sollima, sui versi in siciliano arcaico di Filippo Arriva, ha consegnato al pubblico il pianto di una madre che perde il figlio. Le parole “Nun ti scantari, si sempri un me picciriddu” hanno risuonato come un inno universale di dolore e amore, ricordando le ninna nanne delle madri migranti. Un momento di straordinaria commozione è stato poi raggiunto quando gli strumenti dell’orchestra sono stati suonati dai Cherubini. Questi strumenti, realizzati dai detenuti del carcere di Opera (Milano) con il legno delle barche usate dai migranti, hanno incarnato la trasformazione del “legno di morte” in “anima di suoni”, come ha sottolineato Riccardo Muti, che ha ricevuto in dono due bacchette fatte con gli stessi legni: “Le terrò come sacre.”

Il concerto si è concluso sotto un cielo di stelle rappresentato dai lumini accesi sulle pareti della cava, simbolo di speranza e memoria per le vite perdute. Un messaggio potente che ha ribadito che il cielo e il mare appartengono a tutti. E che la cultura e l’arte possono aprire le porte del cuore, promuovendo la fratellanza e l’amore tra i popoli.

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