Meglio scaricare tutte le colpe sul parafulmine straniero. Più “lui” è colpevole, più siamo innocenti noi. ROMA -11 febbraio 2009 – La colf è filippina, il venditore di collanine africano, il fioraio pakistano, il bancarellaro cinese, lo stupratore… rumeno. È la psicosi di un tempo malato, dove la peggiore violenza diventa “etnica”; dove il branco che distrugge la vita di una ragazza non è giudicato per ciò che ha fatto, ma per il luogo da cui proviene.
I dati raccontano altro. Il sito la voce.info rivela che dal 1990 al 2003 il numero dei permessi di soggiorno si è quintuplicato (dallo 0,8 al 4 per cento) mentre la criminalità è lievemente calata; e aggiunge che tale stima è indicativa anche per ciò che riguarda la parte “sommersa” e cioè gli irregolari e i crimini non denunciati. Ma cosa contano i dati quando una nazione intera ha voglia di lavarsi la coscienza?
Noi, folla inferocita che ha voglia di dimenticare. Noi non vogliamo vedere che gli specialisti degli stupri a base di pasticche e alcol sono giovani spesso borghesi e benestanti. E che in oltre tre quarti delle violenze sessuali lo stupratore ha “le chiavi di casa”. E che le nostre città sembrano fatte apposta per gli agguati, perché sono buie e piene di periferie degradate, perché nelle discoteche la droga gira come acqua minerale, perché di sera la metro chiude e i bus diventano rarissimi, perché le feste giovanili sono sovente territori fuorilegge dove tutto è permesso.
Noi non possiamo vedere questa realtà, perché mette in discussione troppe certezze: la famiglia sacra e protettiva, i nostri ragazzi bravi figli, il campanile stracittadino che ci è tanto caro. Quindi molto meglio scaricare tutte le colpe sul parafulmine straniero. Più “lui” è colpevole, più siamo innocenti noi.
Restano tante domande appese, ignorate. Se la nostra legge considera un’attenuante commettere dei crimini sotto l’effetto di droghe, la colpa è dei rumeni? Se i nostri magistrati considerano normale mandare a casa chi ha appena stuprato una donna, la colpa è dei rumeni? Ed è colpa loro anche se la mamma di Nettuno dice che il suo figlioletto sedicenne complice del rogo del barbone è un ragazzo di buon cuore traviato dai più grandi?
Nessuno assedia le auto della polizia, nessuno ha fame di linciaggio quando ai domiciliari viene portato “un bravo ragazzo” italiano che ha stuprato per scommessa, che ha bruciato un uomo per gioco. Nessuno chiede conto alla classe politica di una legge per cui uno stupro vale meno di tre anni di carcere, quindi vale la libertà condizionale; e di un’altra legge che ritiene impossibile la custodia cautelare quando il reato di cui si è accusati prevede la condizionale. Nessuno chiede conto alla giustizia italiana dei suoi occhi chiusi sulle violenze commesse sulle donne islamiche, da uomini che applicano in Italia la sharia più brutale che nel loro Paese non potrebbero applicare. E nessuno osa mettere il naso nella famiglia, dove la violenza è più sottile e più tragica, perché in quel caso un uomo abusa di chi gli ha regalato la sua fiducia e la sua vita, perché spesso nella sua atrocità coinvolge dei bambini, perché non di rado a chiudere la bocca della donna sono sentimenti come paura, vergogna, senso di colpa che si aggiunge allo strazio.
“Spiegate ai figli la gravità di certi gesti”, dice Giovanni Bollea. Ma bisognerebbe prima spiegarlo alle madri e ai padri. E poi spiegare che “certi gesti” non hanno colore né razza.
Sergio Talamo