Roma -20 dicembre 2013 – L’Arabia Saudita, uno dei paesi più ricchi del mondo ha deciso di espellere due milioni di lavoratori immigrati provenienti dai paesi più poveri.
Nella petrolmonarchia, centro religioso per il mondo islamico, vivono sedici milioni di abitanti con un welfare prodotto dai guadagni dell’oro nero. Un paese con un grande bisogno di mano da opera esterna, nel quale i lavori più umili sono ormai relegati agli immigrati.
In Arabia Saudita lavorano nove milioni di migranti al servizio dei Sauditi che considerano questi quasi come nuovi schiavi. Gli immigrati sono considerati lavoratori temporanei e non possono avere gli stessi diritti dei cittadini sauditi. L’ Arabia Saudita è l’unico paese nel mondo, dove le donne non possono guidare la macchina e le persone di altre fedi non possono costruire i loro luoghi di culto.
Da qualche tempo le autorità hanno emanato nuove leggi severe per espellere i due milioni d’immigrati irregolari e dopo alcuni giorni di proteste da parte degli immigrati, i morti sono già diversi, in seguito alla violenta repressione della polizia.
Il governo dichiara di avere espulso centinaia di miglia d’immigrati provenienti dal Corno d’Africa, dal subcontinente indiano e dall’estremo oriente. La situazione appare decisamente ingarbugliata perché, se da una parte i sauditi finanziano gruppi islamici armati, con l’intento di destabilizzare alcuni paesi con rivolte interne in atto, dall’altra espellono dal loro Paese quegli stessi immigrati provenienti dai medesimi paesi.
Gli immigrati per lavorare in Arabia Saudita devono essere chiamati direttamente da un datore di lavoro “kafil” (padrone) immancabilmente cittadino saudita . Il kafil prende il permesso dal governo e fa entrare i lavoratori nel paese. Questi lavoratori per tutto il periodo di permanenza non possono essere liberi e sono sottomessi agli ordini del loro kafil ma non solo.
Gli immigrati devono, poi, pagare anche la tassa governativa e con gli stipendi bassi non riescono a risparmiare abbastanza per le rimesse. I kafil molto spesso sfruttano gli immigrati, minacciano loro l’espulsione e quando i lavoratori riescono a liberarsi da questo giogo sono poi costretti a sopravvivere in clandestinità per riguadagnare dignità e rispetto di sé.
Il Paese saudita giustifica le nuove misure contro gli immigrati clandestini con l’attuale crisi nazionale che avrebbe colpito anche la ricca nazione. E per rispondere alle necessità lavorative dei sauditi il governo avrebbe deciso di espellere tutti coloro con difficoltà amministrative.
Secondo le statistiche il 12% dei sauditi è disoccupato ma in realtà i sauditi non fanno lavori umili e soprattutto non accetterebbero mai le retribuzioni riservate agli immigrati. Gli stranieri irregolari lavorano soprattutto nel terzo settore e per gli esperti sono la spina dorsale dell’economia del Paese. Con l’obbligo del Kafil tra alcuni anni si avranno altri immigrati che cadranno nella trappola della clandestinità.
Intanto miglia d’immigrati pakistani di origine Pashtun sono stati rimpatriati in Pakistan, in quelle zone, dove i talibani sono in maggioranza. E dove probabilmente molti di loro verranno reclutati nelle loro fila.
Dal mondo non si sono alzate voci di protesta per la terribile situazione che stanno vivendo migliaia di persone, nessuno sdegno, per i diritti umani calpestati e soprattutto nessuna rabbia per la legittimazione di una nuova forma di schiavitù che getta un’ombra su tutti quei Paesi democratici che in nome di accordi economici mai si pronuncerebbero contro uno dei paesi più ricchi del mondo.
Ejaz Ahmad
Azad.it