Il Viminale: “Non può essere concesso un documento per attesa occupazione”. Gezka (Asal): “Legge ingiusta. Così molti studenti diventano clandestini”
Roma – 9 settembre 2011 – Finita l’università, gli studenti stranieri che non trovano lavoro prima che scada il loro permesso per studio devono tornarsene in patria. Se non lo fanno (ed è probabile) diventano immigrati irregolari.
Lo ha chiarito qualche giorno fa Rodolfo Ronconi, capo della Direzione Centrale dell’immigrazione e della Polizia delle Frontiere del ministero dell’Interno, con una circolare dedicata ai neolaureati extracomunitari.
Qualche Questura si interrogava sulla “possibilità di rilasciare un permesso di un soggiorno per attesa occupazione anche in favore di quegli studenti stranieri che abbiano proficuamente concluso gli studi universitari e non accedano a dottorati o master universitari di secondo livello”. La risposta è no. Ronconi ritiene infatti che “per procedere a tale conversione sia preliminarmente necessario uno specifico intervento di modifica legislativa”.
I neolaureati che vogliono rimanere in Italia dovranno quindi trovare impiego subito, prima che scada il loro permesso per studio. Un’impresa difficile, soprattutto nell’attuale congiuntura economica. E un trattamento diverso rispetto a quello riservato dalla legge sull’immigrazione a chi finisce un master o un dottorato: in questi casi, scaduto il permesso per studio, ci si può iscrivere al collocamento e ottenere un permesso per attesa occupazione, che da almeno sei mesi di tempo in più per cercare lavoro.
“Al di là dell’ingiusta distinzione tra chi si laurea e chi fa anche un dottorato o un master, bisognerebbe interrogarsi sulle conseguenze di una prassi di questo tipo” fa notare Ergys Gezka, presidente dell’Associazione Studenti Albanesi di Lecce. “Dopo aver studiato tanti anni in Italia è difficile tornare a casa, lo sbocco quasi naturale per chi non trova subito un lavoro regolare, è la clandestinità”.
Questo succede, sottolinea lo studente, soprattutto a chi arriva dai paesi più poveri. “Penso a molti colleghi africani o sudamericani. Le loro famiglie hanno fatto un investimento enorme per mandarli a frequentare l’università in Italia Tornare a casa disoccupati, con una laurea difficilmente utilizzabile in patria, è drammatico”.
Gezka e i suoi colleghi, in fin dei conti, non chiedono molto: “Solo un po’ di tempo in più per cercare lavoro in Italia. Credo che tutti gli studenti meritino questa chance”.
Elvio Pasca